Primavera 2021. Un anno dopo, siamo ancora qui, ad accontentarci di festeggiare la Pasqua chiusi in casa o negli strapuntini a cielo aperto che magari qualcuno di noi, tra i più fortunati, ha in dotazione oltre alla casa.
E quel “ne usciremo migliori” ancora non è diventato concretezza, tant’è che i furbetti, e non solo italici, in barba a tutti i contenimenti possibili, hanno trovato il vulnus nelle maglie dei DPCM e regolamenti che, incrociati, talvolta si annullano a vicenda dando la possibilità di passare le vacanza all’estero, mentre gli Stati nazionali restano ancora chiusi.
C’è anche da rilevare che lo “stile Draghi” sta sortendo qualche piccolo, timido avanzamento: da un inizio di “aumento esponenziale” del ritmo delle vaccinazioni, alla “complessizzazione” della macchina e capillarizzazione dei punti vaccinali grazie agli accordi con farmacisti e medici di famiglia, alla linea del pugno duro verso le farmaceutiche nella gestione delle riserve, alla quale i big d’Europa si stanno allineando, al silenziamento delle polemiche da parte del “fuoco amico”.
Perchè non c’è più spazio per fare campagna elettorale. Ora le decisioni si debbono prendere “evidence based”.
Il cambio di marcia c’è, ma i risultati ancora sono timidi ed il Paese è stanco, frustrato, piegato da molteplici pandemie. A quella sanitaria, si debbono aggiungere quella economica, sociale, psicologica, culturale.
Si, anche culturale, perchè musei, sale da concerto e da teatro sono chiuse da ottobre e le aperture previste per il 27 marzo slitteranno ancora.
In compenso, anche se in forma digitale, abbiamo ampiamente festeggiato, lo scorso 25 marzo, il cosiddetto Dantedì. Dall’anno scorso, in pieno inizio di pandemia, noi italiani abbiamo creato un tempo nuovo, al di là del calendario, tutto dedicato all’entrata di Dante all’inferno, che gli studiosi per lo più collocano il 25 marzo del 1300. Come in una sorta di “transfert psicanalitico collettivo”, l’Italia ha voluto esorcizzare il proprio dolore, attingendo dalle parole del sommo poeta la forza delle proprie radici.
Per questo, più che mai, Dante siamo tutti noi.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.3Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!6Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.9Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai”.
La Divina Commedia – Inferno – 1° canto – 1 – 12.