Guerra al COVID-19 e sue implicazioni economiche e sociali

di Gloria Paronitti - 30 Aprile 2020

from Rome, Italy

   DOI: 10.48256/TDM2012_00101

Introduzione

Sono passati più di tre mesi dall’arrivo del virus COVID-19 in Italia e più di due mesi dal primo caso di paziente ospedalizzato. Il tempo continua a passare e coloro che sono impegnati in prima linea per fronteggiare la minaccia del virus e che si interrogano su come gestire l’attuale crisi sanitaria ed economica, non hanno dubbi: quella che stiamo vivendo è una vera e propria guerra. Purtroppo però, non si tratta di una guerra lampo, dove le strategie e le mosse sono state pianificate in anticipo, studiando attentamente il nemico e cercando di colpirlo nei punti più deboli. Quella del COVID-19, invece, è una guerra di posizione, dove il nemico si impara a conoscerlo gradualmente e dove il guadagnare tempo e il saper parare i colpi diventano risorse fondamentali per la vittoria nel lungo periodo. 

Perciò oggi l’Italia (come il resto del mondo) si trova a combattere un nemico sconosciuto, tanto invisibile quanto letale (non solo dal punto di vista medico), contro il quale il “tradizionale” modo di condurre una guerra non risulta più così adatto.

 

La guerra contro il COVID-19

Perché si è affermata l’idea che quella che stiamo combattendo oggi è una guerra? 

Innanzitutto perché, come già è stato anticipato, vi è un nemico comune da combattere; dopodiché perché abbiamo un esercito, ovvero tutto il personale sanitario che è impegnato giorno e notte a difendere il Paese (o meglio, le vite umane), sacrificandosi nonostante l’immane sforzo fisico ed emotivo. Inoltre ci sono le retrovie, che, in questo caso, possiamo identificare con tutte quelle persone attive sul territorio con il compito di alleggerire, per quanto possibile, il lavoro sul fronte (e penso ai volontari, agli operai che lavorano instancabilmente per produrre presidi sanitari, alle fabbriche che si riconvertono etc.). Infine, abbiamo assistito all’introduzione di misure che, fino a poco tempo fa, ci sarebbero sembrate estreme oppure eccessivamente radicali.

Similmente ad una guerra, questo momento storico vede anche la chiusura dei confini, il rimpatrio di chi si trovava all’estero, una sorta di “coprifuoco” nel divieto di uscire di casa se non per giustificate ragioni; 

L’economia stessa è stata colpita al cuore durante la battaglia e la causa è da riscontrarsi anche nel fatto che non eravamo pronti a questo scontro. 

Quando un paese come l’Italia entrava in guerra, profondi cambiamenti si registravano nell’economia e nella società. Oggi alcuni di questi cambiamenti si stanno materializzando, altri meno. Ma andiamo per gradi.

 

La produzione industriale

Partiamo dall’economia. Quella che oggi viene chiamata “lockdown economy” è in realtà del tutto opposta all’economia di guerra consistente nella mobilitazione totale. Durante le guerre del secolo scorso, un numero mai visto in precedenza di uomini e donne veniva assunto per lavorare per la produzione di massa. Ora, invece, l’interruzione delle supply chain a causa del coronavirus e le misure di distanziamento sociale stanno fermando milioni di impiegati nel settore manifatturiero e dei servizi (Mulder, 2020). I confini chiusi, fermano l’export. La produzione industriale è diminuita del 16,6% in marzo su febbraio, quando era già arretrata del 2,6% su gennaio 2019 (CsC, 2020). 

Inoltre, durante una guerra, i beni di prima necessità tra i civili sono razionati per dare più spazio alla produzione bellica (Zamagni, 2012) e per rifornire in prima istanza gli eserciti. Questa realtà oggi è molto lontana: nonostante il grande sforzo di chi è impegnato nella filiera, i supermercati non sono affatto vuoti e la spesa arriva a casa.

Di simile ad un periodo di guerra però, vi è la pratica della riconversione industriale: le industrie vengono ripensate per la produzione dell’arsenale, che tuttavia oggi consiste in presidi sanitari. 

Così, le aziende produttrici di abbigliamento, di tessuti e di packaging iniziano a produrre mascherine; le industrie cosmetiche si cimentano nella produzione di disinfettanti; infine, le industrie automobilistiche statunitensi iniziano a produrre respiratori.

Il professore israeliano Harari scrive nelle pagine del Financial Times che, proprio come durante una guerra vengono nazionalizzate le industrie strategiche, la guerra umanitaria contro il COVID-19 ci richiede di “umanizzare” le linee di produzione, ipotizzando anche che, in questo momento, i paesi meno colpiti dovrebbero aiutare chi invece ora non dispone di presidi sanitari a sufficienza, fiduciosi che l’aiuto verrà ricambiato nel momento del bisogno (Harari,2020).

 

Poteri speciali dello Stato

Proprio come durante una guerra, inoltre, alcuni governi stanno intervenendo nell’economia del paese e i capi di stato stanno facendo appello a poteri speciali per acquisire o preservare risorse utili alla lotta contro il nemico. È il caso dell’Italia, della Spagna e degli Stati Uniti. 

Per quanto riguarda i primi due paesi, si fa riferimento alla norma del Golden Power, ovvero, uno scudo posto dall’esecutivo per proteggere gli assetti prioritari delle aziende operanti in ambiti di rilevanza strategica (per esempio, nei settori della difesa e della sicurezza nazionale). In Italia tale materia è disciplinata dal decreto-legge n.21 del 2012 ed in questi giorni è stata estesa a settori al di fuori di quelli soliti, quali l’alimentare, la sanità, le banche e le assicurazioni, per evitare l’acquisto dall’estero dei loro titoli borsistici in forte calo. 

Negli Stati Uniti, all’inizio del mese di marzo il presidente Trump ha adottato il Defense Production Act (DPA), strumento che permette di controllare la produzione privata e di indirizzarla al soddisfacimento di interessi pubblici. Così, il presidente ha richiesto ad aziende quali General Motors Co di avviare nei loro stabilimenti la produzione di macchine per la ventilazione, che, insieme ai dispositivi di protezione personale, sono stati dichiarati “essenziali per la difesa nazionale”. 

Inoltre, tornando in Italia, il Governo ha imposto forti restrizioni su uno dei diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti: la libertà personale. Giustamente, tale diritto passa in secondo piano rispetto al diritto alla vita e alla salute. Ciononostante, le restrizioni sono state adottate ricorrendo a metodi speciali: è perciò importante non creare un precedente ed in futuro tenere conto del contesto in cui tali misure sono state adottate. Perché a nessuno venga voglia di giocarci senza ragione. 

 

Innovazione

Durante un conflitto, grande stimolo viene trasmesso anche all’innovazione ed al progresso tecnico. Infatti, “le guerre, specie se protratte nel tempo a causa di una certa equivalenza economica e strategica delle parti in campo, incentivano l’affinamento delle tecnologie esistenti, per prevalere sull’avversario” (Zamagni,2012). Ed è così che l’intelletto dell’uomo viene stimolato al massimo per trovare soluzioni efficaci e nel minor tempo possibile per combattere il virus, partendo dalle risorse di cui già disponiamo. 

Nonostante sia emerso come dato storico che le guerre contribuiscano a generare solamente progresso tecnologico e non nuove scoperte o invenzioni, tanto meno quelle destinate a cambiare il destino dell’umanità (Zamagni, 2012), non è detto che anche questa volta sarà così. 

Sebbene sia un po’ presto per fare un bilancio, abbiamo visto come la creatività e la collaborazione tra ingegneri, aziende e personale medico abbia portato a trasformare una maschera da snorkeling in una per la ventilazione assistita o per la protezione del personale sanitario in corsia. Questo è un esempio lampante di lotta contro il nemico condotta con le risorse a propria disposizione ed un po’ di creatività. 

Sicuramente assisteremo a tante altre piccole o grandi storie come questa, mentre altre idee diverranno note solo dopo la fine dell’emergenza. Due cose però sono certe: la prima è che in questo periodo c’è un’ampia offerta di “food for thought” per le nostre menti, le quali, si spera, possano intravedere soluzioni innovative ai problemi di oggi; la seconda è che, in questo momento, non ci potrebbe essere scoperta più desiderata di quella di un vaccino. 

 

Finanziamento della guerra

La guerra è sempre stata finanziata attraverso tre fonti: le tasse, l’indebitamento e la creazione di moneta. Riguardo al primo metodo, più povero è il paese (dovuto ai danni della guerra e alla leva militare) e meno sarà possibile contare sulla leva fiscale: ad oggi questa è la situazione. I paesi, fermi, assistono al disgregarsi del PIL; le industrie, bloccate, non generano profitti; i lavoratori, a casa, non possono contare sullo stipendio e molti vengono licenziati. Per esempio, il Ministero del Lavoro iberico ha registrato per il mese di marzo un aumento dei disoccupati del 9.3% (Il Messaggero, 2020), in Canada il 5% della forza lavoro ha richiesto il sussidio di disoccupazione, mentre negli USA, nella settimana tra il 15 e il 21 marzo, le richieste per la disoccupazione sono aumentate di 3 milioni di unità rispetto al periodo precedente (Taddei, 2020).

Per quanto riguarda gli altri due strumenti invece, in Europa sono in mano alla BCE e alla Commissione Europea. L’indebitamento in questo caso avrebbe il fine di “armare” gli operatori sanitari in prima linea, limitare l’impatto negativo sui redditi e sul potenziale produttivo. La creazione di moneta, invece, avrebbe il ruolo di provvedere alla liquidità necessaria.

A tal proposito si è espresso l’ex-presidente della BCE, Mario Draghi, con una lettera affidata alle pagine del Financial Times: obiettivi primari sono l’aumento della liquidità da parte dei governi e fondi a tasso zero garantiti dallo stato, da parte delle banche verso le imprese, in modo da evitare tagli al personale. Il debito dei paesi crescerà e l’Europa dovrà coordinare rapidamente una vasta politica economica, in modo da evitare ai cittadini di tutti gli stati sofferenze come quelle patite negli anni ’20 del secolo scorso. Tanto più che l’attuale shock non è stato causato da chi ne soffrirà (Draghi, 2020).

 

Cambiamenti nel mondo del lavoro

Ogni guerra lascia segni profondi sulla società che l’ha vissuta sulla sua pelle. Nonostante gli sforzi e le sofferenze, a volte i periodi di guerra sono incubatori di cambiamenti positivi. Basti pensare che durante la Grande Guerra le donne si sostituirono agli uomini nelle fabbriche e cominciarono ad avere un ruolo attivo nella società. Questo è stato uno dei primi passi sulla lunga strada dell’emancipazione femminile e per la parità dei diritti (Bosna). 

Inoltre, per fronteggiare un’emergenza, si adottano misure in modo molto rapido perché concepite come temporanee. Spesso però, queste misure tendono a rimanere nel tempo e a sopravvivere all’emergenza (Harari, 2020). Vedremo se questo sarà o meno il caso dello smart-working. Pur non sapendo del futuro, è evidente che ad oggi esso faccia ormai parte della nostra quotidianità e del set di strumenti a disposizione delle aziende e dei policymakers.

In tempi normali, i governi, le aziende e il mondo della didattica, prima di catapultare gran parte del lavoro e dell’apprendimento online, avrebbero indetto molteplici consultazioni, condotto studi di fattibilità, creato leggi, condotto test ed avrebbero introdotto la novità gradualmente. Però, questi non sono tempi normali (Harari, 2020). 

Un’altra lieve accelerata, stavolta nel settore sanitario, si è avuta con la possibilità per i medici di famiglia di inviare tramite web le ricette “elettroniche” ai propri pazienti (La Repubblica, 2020). Questa pratica, anch’essa adottata repentinamente, si può annoverare tra i primi passi, omogenei sul territorio nazionale, verso la telemedicina, che ha tra i suoi presupposti quello di avere pazienti connessi. Contemporaneamente, nascono nuovi servizi di assistenza a distanza per non abbandonare a loro stessi i malati cronici.

In questi giorni, tante novità si stanno introducendo nella nostra vita. Solo il tempo saprà dirci se continueranno a farne parte.

 

Approcci diversi verso sanità ed ambiente

Altri due cambiamenti, anche se non si sa in che misura, stanno già avvenendo; stavolta però riguardano l’approccio delle persone e delle istituzioni a due mondi diversi: quello della sanità e quello della sostenibilità.

Nonostante ora gli operatori sanitari vengano definiti eroi, fino a poco fa non erano infrequenti notizie riguardanti aggressioni o minacce nei loro confronti. 

Spostandoci sul piano nazionale, il SSN italiano è stato interessato da definanziamenti fino a poco prima della pandemia (Cartabellotta et al., 2020). L’augurio è che in futuro la sanità possa finalmente essere caratterizzata dall’adeguato impiego di nuove risorse ed investimenti. 

A livello internazionale, invece, la speranza è che si comprenda maggiormente la necessità di una copertura sanitaria universale, per evitare episodi come quello avvenuto in California, dove un 17enne sprovvisto di assicurazione sanitaria viene lasciato morire (La Repubblica, 2020), ma anche per rimediare più in fretta all’iniquo accesso alle cure e a servizi di qualità nei paesi poveri (WHO) che, in casi come quello del COVID-19, possono generare disastri umanitari di proporzioni imprevedibili. 

Riguardo la sostenibilità e l’attenzione verso l’ambiente, recentemente si sono registrati cali nei livelli di inquinamento delle principali città del mondo (NASA, ESA, 2020). Spiagge note per l’inquinamento sono ora limpide e silenziose, i delfini tornano nei porti, i cigni nei canali di Venezia. 

Inoltre, sembra che il COVID-19 sia stato originato dai pipistrelli e trasmesso all’uomo da un ospite secondario (ISS,2020). È quindi evidente come l’uomo si stia introducendo e stia sconvolgendo sempre di più ecosistemi con i quali non dovrebbe interferire, venendo a contatto con nuovi virus e batteri. 

Tutto ciò solo a suo discapito, perché, come dimostrano le immagini di questi giorni, la natura è resiliente. Un cambio di mentalità è solo il primo passo di un lungo cammino e, realizzandolo ora, saremmo già in ritardo. 

 

Un nuovo paradigma economico

Il nostro sistema economico e finanziario è stato messo in ginocchio da un essere microscopico in un lasso di tempo brevissimo; in più, questa pandemia non sarà di certo l’ultima che affronteremo. È quindi evidente come esso non sia più sostenibile ed attuale, e che quindi vada adattato alle nuove condizioni sopraggiunte.

Si dice che vince la guerra chi sa allontanarsi di meno dalle condizioni di pace e cioè chi già in tempo di pace implementa strutture economiche e finanziarie adeguate alla condotta della guerra per evitare attriti nei passaggi tra i due stati (Regio Esercito, 2002). 

Perciò, vi è bisogno di una struttura economica flessibile e resiliente, che possa sopportare shock improvvisi e riadattarsi. Una soluzione potrebbe essere la costruzione di una “economia del benessere”, e cioè: “un approccio orientato alle politiche e alla governance che mira a mettere le persone e il loro benessere al centro delle politiche e del processo decisionale” (Council of EU, 2019). L’obiettivo politico ed economico della crescita del PIL verrebbe quindi sostituito dalla ricerca dell’aumento del benessere sociale. 

In questo nuovo paradigma andrebbero poi ad operare imprese orientate verso la creazione di “Shared Value” (Porter, Kramer, 2011). Riconcepite come più civili ed inclusive, esse avranno lo scopo di rispondere a bisogni e sfide sociali, non solo agli azionisti. 

L’appello è dunque ad una più effettiva responsabilità sociale delle imprese: le più grandi perseguiranno impatti sociali positivi a livello nazionale, mentre le Pmi cercheranno di averlo sul loro territorio di riferimento (Tombari, 2020). 

Si richiede quindi alle aziende di cooperare prontamente con il Paese per innescare un percorso circolare virtuoso: le prime rafforzeranno il Paese, che, a sua volta, le sosterrà a livello di domanda e di consumi (Tombari, 2020). Nessuna può più sottrarsi a questa responsabilità.

 

Unione del popolo

Passiamo ora ad analizzare due fattori fondamentali in tempi di guerra. Il primo è l’unità del paese nel perseguire lo scopo del conflitto, il secondo sono le alleanze.

Partiamo con il primo punto. Nelle guerre del passato, gli “interessi della nazione” non coincidevano con gli interessi di tutta la popolazione. Oggi, invece, siamo tutti coscienti di quali siano le priorità, pronti a sacrificare alcuni interessi per perseguirne altri attualmente più importanti (Michelini, 2020). In questo momento vi è un’azione collettiva di portata mai vista dai tempi della II Guerra Mondiale, ma per la prima volta tutti sono uniti in questa battaglia verso il nemico comune. Scrive il Professor Michelini dell’Università di Pisa: “È un’esperienza fondamentale perché ricorda a tutti che frutto di uno sforzo collettivo immane e straordinario può non essere soltanto il conflitto armato: ma può invece essere una “guerra” di carattere sociale, come la lotta al Covid-19 e quindi la creazione di una sanità capace di garantire il diritto alla salute a tutti”.

 

Alleanze internazionali 

Il secondo punto riguarda il fatto che, in questo momento, non si richiede solamente l’unione della popolazione italiana nel rispettare le leggi e nell’essere più responsabili verso se stessi e gli altri; si richiede anche una stretta cooperazione tra tutte le nazioni del mondo e le strutture sovrannazionali. Come nessuno ha vinto una guerra combattendo da solo, così questa emergenza non si potrà risolvere se il virus non verrà estirpato anche nei paesi più poveri o se i paesi economicamente più colpiti non verranno aiutati. 

Quello che sta succedendo rappresenta un ulteriore teatro di prova per l’Unione Europea la quale, dopo l’economia, non potrà essere l’ennesima vittima di questo conflitto. 

L’ultima guerra combattuta sul suo suolo è stata fondamentale per la sua nascita: la II Guerra Mondiale determinò la sconfitta dei nazionalismi e pose le basi per una nuova fratellanza tra gli Stati. “L’Unione europea viene posta in essere allo scopo di mettere fine alle guerre frequenti e sanguinose tra paesi vicini, culminate nella seconda guerra mondiale” (Europa.eu). 

Ora più che mai c’è bisogno dell’Europa unita. Primo perché anche quella al COVID-19 è una guerra e lo scopo dell’Unione era proprio quello di evitarne di nuove. Visto che non ci siamo riusciti, non ci resta che affrontare la sfida. Secondo perché i nostri nonni e gli uomini lungimiranti che hanno lottato per crearla, così l’avrebbero voluta. 

 

Conclusioni

Per quanto la lotta sia estenuante e la ripresa dal colpo inferto dal COVID-19 possa essere lunga, è nostro dovere non lasciarci sfuggire un’occasione importante di cambiamento e rinascita. Abbiamo visto come, alla fine di una guerra, oltre al sangue sparso e alla povertà, ci possano essere speranze per cambiamenti positivi e rinnovate energie.

Quello che però è importante ricordare è che tali cambiamenti hanno sempre alla base il pensiero e l’azione dell’uomo, il quale oggi, come mai prima, è chiamato a ripensare al suo stile di vita, al suo modo di lavorare, alla sanità e all’economia, al rapporto con chi lo circonda e tra i Paesi. Queste sono tante sfide contenute nella sfida più grande del COVID-19. E, nonostante viste tutte assieme, possano sembrare insormontabili, è nostra responsabilità affrontarle, sia a livello micro che macro. Come dopo una guerra, è tempo di pensare uniti alla ricostruzione della società di domani, su fondamenta nuove e più eque. Sperando così che dopo il COVID, no, nulla sarà come prima…ma migliore.

 

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Autore dell’articolo*: Gloria Paronittiaddetta eventi di Roma del think tank Trinità dei Monti. Studentessa di Master in Management all’Università LUISS Guido Carli di Roma e Dottoressa in Global Governance all’Università Tor Vergata di Roma.

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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