Quote rosa al vaglio: strumento di inclusione o discriminazione alla rovescia?

di Irene Fratellini - 31 Ottobre 2020

Bruxelles, Belgium

DOI : 10.48256/TDM2012_00141

Il costume blu

La cultura di genere in Italia, spontanea e incosciente, è una cultura grezza, lacunosa, imperfetta. Perché mai una simile complicazione sociale? È bene sapere che quest’ultima non si rifa a fondamentali giuridici; la Costituzione italiana non pontifica ripartizioni di genere, anzi, ne promuove pari dignità negli artt. 3, 37 e 51 Cost. Dunque, per la legge fondamentale dello stato, la questione di genere non ha ragione d’essere, piuttosto è in embrione un difetto di forma mentis.  Il termine “discriminazione” di cui tanto ci riempiamo la bocca è una nostra creatura, che cresce nella ripetizione di determinate azioni, consolidando una pratica. Dunque, come bonificare un’idea e riqualificare una cultura che ha cresciuto un costume deviante? 

Correggere un comportamento discriminatorio, nonché nocivo al corretto funzionamento della società, diviene la missione del legislatore. L’esclusione sociale delle donne nella sfera politico-dirigenziale guiderà dunque la politica a rivedere pesi e misure per ambo i sessi. In Italia, una certa logica aggressiva ha avuto la meglio nel ridisegnare il ruolo e la considerazione delle donne in un ventaglio multidimensionale. Il termine che meglio lo descrive è “quote rosa”. Tale provvedimento introduce l’obbligo di riservare un numero minimo di posti alle donne, diversificando per contesto politico o aziendale.

 

Dividi et impera: una logica controversa dietro la strategia

 Il modello teorico alla base delle quote rosa prevede l’utilizzo di una coercizione temporanea per stimolare e plasmare una condotta. Se riuscisse nell’intento, nel lungo termine diverrebbe spontanea e convinta, non animata dalla spiccata accortezza del rifulgere dalle sanzioni previste dalla legge (Pastore, 2018). 

Si badi bene, la riconfigurazione di genere non è di per sé un’arma di misantropia e tortura. Molte donne qualificate sono spesso scartate poiché non sono uomini. 

Uomo è autorità, donna è una tenera dolcezza. Ecco come un semplice tratto, oltretutto caratteriale, stigmatizza generazioni di donne che, potrebbero “portare i pantaloni” meglio dei loro partner; scegliendo di mettere al mondo figli o meno. Tuttavia, il provvedimento delle quote rosa non esula da controindicazioni. Se il genere femminile diventa nella fattispecie la discriminante di scelta, c’è poco da festeggiare. La premessa avanza pretese di genere nel momento in cui la donna diventa il first best in quanto donna e non come risorsa. La discriminazione persisterebbe dunque al verso opposto. 

 

Le quote rosa in politica

Nella dimensione politica, le quote rosa sono state introdotte a singhiozzo nella normativa vigente, intervallate da sentenze più o meno diffidenti da parte della Corte Costituzionale. Nel 1995 la Corte fu interpellata per la prima volta dal Consiglio di Stato circa l’art. 5.2 della legge 81/1993 sull’elezione diretta dei sindaci (Corte Cost., 1995). Si trattava della primissima norma, capostipite nella promozione di pari dignità e rappresentanza di genere.  Nell’occhio del ciclone: la condizione che nelle liste dei candidati non vi fosse per nessuno dei due sessi una rappresentanza superiore ai due terzi (Gazzetta Ufficiale, 1993). La Corte ne dichiarò l’incostituzionalità. Una quota di genere non poteva e non doveva rappresentare un requisito di eleggibilità, nonostante l’azione positiva di riconoscere “discriminazioni attuali come rimedio a discriminazioni passate” (Corte Cost., 1995). 

Successivamente, il riequilibrio di rappresentanza dei sessi penetrò gli statuti delle regioni ad autonomia speciale, con la riforma Legge Cost. 2/2001 (Gazzetta Ufficiale, 2001a). Allo stesso tempo, la successiva 3/2001 imponeva alle altre regioni di rimuovere ogni ostacolo all’elettorato passivo facente capo al sesso dei candidati (Gazzetta Ufficiale, 2001b). Puntuale, il gallo interpellato cantò anche questa volta, e venne emessa la sentenza 49/2003. In questo caso, tuttavia, la Corte Costituzionale non interpretò le riforme come inficianti lo stato di diritto. Si decise che le disposizioni volevano guidare tenuemente al cambiamento, concretizzare la parità e conferire gradualmente sostanza alla partecipazione delle donne nella vita politica. Prospiciente la prima legge sotto accusa nel 1995, il vincolo che le riforme pongono è, in questo caso, antecedente la competizione elettorale. La Corte non lo percepisce invalidante e fa dietrofront (Corte Cost. 2003).

 

La voce del reale: valutazione d’impatto della performance governativa 

Interessante è altresì verificare l’impatto trasversale di tale provvedimento sulla qualità del “buon governo” ex post.  Il fare buona politica è un concetto astratto, declinabile nella specificità della realtà solo grazie a degli indicatori, la cui scelta e interpretazione rimane a discrezione del ricercatore. Uno studio pubblicato nel 2013 utilizzò il livello d’istruzione come discriminante, per valutare l’impatto delle quote rosa nei comuni, dal 1985 al 2009.  Il riferimento temporale fa dunque capo ad un periodo antecedente e successivo alle leggi sopracitate, permettendo un confronto ex ante ed ex post le norme. Una stima delle differenze ha prodotto risultati singolari. Le quote di genere sono positivamente correlate alla qualità dei politici eletti, con un aumento da 0,12 a 0,24 anni di istruzione (Baltrunaite et al., 2013). 

Data l’implementazione di ulteriori stimoli legislativi negli anni successivi, 2010, 2012, 2015, la percentuale di donne nella sfera politica continua a crescere. L’ultimo input che agevola la rappresentanza politica femminile è inserito nella L. 165/2017 la quale applica il famoso sistema misto. Il 37% di deputati e senatori viene eletto con sistema maggioritario in collegi uninominali, mentre il restante 63% con sistema proporzionale in collegi plurinominali (Gazzetta Ufficiale, 2017). Con queste istruzioni precise, gli italiani votarono il nuovo parlamento il 4 marzo 2018 (Camera dei Deputati, 2018).

 

Le quote rosa nel business

Correva l’anno 2012 quando fu introdotta la Legge 120/2011, riconosciuta come Golfo-Mosca, dal nome delle onorevoli, madri della proposta. Le quote rosa morsero le società quotate in borsa, conquistando un terzo della rappresentanza nei consigli di amministrazione (Gazzetta Ufficiale, 2011). Le aziende avrebbero comunque potuto scegliere di non adempiere pagando la sanzione, sebbene di considerevole portata. Dopo quattro mesi di ammonimento dalla contravvenzione, la Consob poteva, e può tutt’oggi, imporre una sanzione amministrativa pecuniaria da 100,000 a 1,000,000 di euro. In più, in caso di non ottemperanza del pagamento entro i tre mesi successivi, il consiglio d’amministrazione vigente sarebbe decaduto (Bruno et al., 2018)

Quando la legge fu attuata, la componente femminile nel contesto in questione rasentava il 7%, tra l’altro conquistato in circa mezzo secolo. Ad oggi, dopo una decade dalla riforma, le quote rosa godono di un signor 35%, estendendo il proprio veto sul 100% delle società quotate (Profeta, 2019). La politica ha fatto centro. 

Ciò nonostante, la prospettiva è, fin qui, mono oculare. L’efficacia di un progetto di policy non si misura solo ed esclusivamente sull’obiettivo preposto. Ogni legge, prima facie della politica, ha una sua esternalità, uno, nessuno o centomila effetti che impattano l’habitat nel quale è posta in essere. Pertanto, verificare che l’imposizione in bona fide delle quote rosa non sia esiziale per l’azienda è più che dovuto.

 

La prova del nove: valutazione d’impatto della performance aziendale 

Ancora una volta, entra in gioco la Consob, studiando l’applicazione della legge sopracitata ed analizzandone gli effetti ex post nel breve periodo. Il “Boardroom gender diversity and performance of listed companies in Italy” spiega come le quote rosa abbiano apportato miglioramenti anche nella performance di business. Nello specifico, tre sono le punte di diamante che la politica può vantare considerando la variabile aziendale. 

Primo fra tutti è l’incremento del livello di istruzione. Ad oggi, la percentuale di direttori laureati è aumentata del 10% raggiungendo l’86,7%, mentre i post-laureati crescono dall’11,5% al 18,7%. Il salto è positivamente correlato all’introduzione di un maggior numero di donne, data la crescita di laureate dal 66% nel 2008 ad un 90% nel 2016. Altrettanto vigoroso è l’aumento percentuale di donne post-laureate dal 12,5% al 26%. 

In secondo luogo, vediamo la riduzione d’età media. Dal 2012, infatti, l’età media si è ridotta a 56,6 anni, considerando la presenza di donne mediamente più giovani ai consigli di amministrazione. 

Infine, vi è l’impatto sulla redditività e la produttività. I proxy di riferimento sono rispettivamente il ritorno sul capitale proprio, sugli attivi, sul capitale investito e il ritorno sulle vendite delle società italiane quotate. È stato stimato che le quote rosa influenzino positivamente le prestazioni dell’azienda se introdotte parimenti od oltre il 20% dei membri del consiglio di amministrazione. Per giunta, in base agli studi, si pronostica un aumento della redditività del capitale aziendale di 17 punti se la percentuale di donne crescesse al 40% (Bruno et al., 2018).

 

Teorica e pratica a sentenza

Ad onor del vero, la valutazione d’impatto della politica testimonia la sua efficacia tout court. La diversità di sesso nei Cda è in potenza un grande valore aggiunto per il team-building, come lo sarebbe altresì la diversità etnica. Ciò che va rimarcato è l’attenzione alla validità, all’inviolabile benemerenza. Stando al fatto compiuto, le donne hanno dimostrato che, con le carte rimescolate, il sistema funziona. Tuttavia, i progressi pro tempore vanno consolidati nel lungo periodo, al di là dell’applicazione della norma e del suo obiettivo primo. Le disposizioni sulle quote rosa non avranno di fatto lunga vita, ergendosi in più su dei presupposti teorici altamente discutibili. Sebbene l’obbligatorietà della disposizione non abbia leso la produttività del sistema, rimane di fatto un’imposizione di genere in senso opposto, giustificata da uno storico spareggio.

 

Bibliografia 

Baltrunaite, A., Bello, P., Casarico, A. e Profeta, P. (2013) Gender Quotas And The Quality Of Politicians. [online] Documentos.fedea.net. Disponibile a: <https://documentos.fedea.net/pubs/dt/2013/dt-2013-11.pdf> [Consultato il  9 Ottobre 2020].

Bruno, G., Ciavarella, A. e Linciano, N. (2018) Boardroom Gender Diversity And Performance Of Listed Companies In Italy. [online] Consob.it. Disponibile a: <http://www.consob.it/documents/46180/46181/wp87.pdf/d733b58a-44b4-42de-98c7-3c89a82a0182> [Consultato il 6 Ottobre 2020].

Camera dei Deputati, Commissione : Affari Costituzionali (2018) Elezioni politiche 2018 – La legge elettorale. XVII Legislatura – XVII Legislatura – Documenti – Temi Dell’attività Parlamentare. [online] Camera.it . Disponibile a: https://www.camera.it/leg17/465?tema=riforma_elettorale [Consultato il 3 ottobre 2020]

Corte Costituzionale, sentenza 12 settembre 1995, n. 422, Cons. dir. n. 3 

Corte Costituzionale, sentenza 10 febbraio 2003, n. 49, Cons. dir. 3.1. 

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (1993) “Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale”. L. 25 marzo 1993 n. 81

a.Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (2001) “Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano”. L. Cost. 31 gennaio 2001, n. 2, Titolo V

b.Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (2001) “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”. L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3, Titolo V

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (2011) “Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati”. L. 12 luglio 2011, n. 120

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (2017) “Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”. L. 3 novembre 2017, n. 165 


Pastore, P. (2018) Italian lesson about getting women on the board five years after the implementation of the gender quota law. Corporate Ownership & Control, 16(1-1), 185-202. 

Profeta, P. (2019) Cda, Perché Le Quote Rosa Vanno Prorogate. [online] ilsole24ore.com. Disponibile a: <http://www.utilitalia.it/dms/file/open/?ca7a009b-0eba-4327-81d1-391fd4c8b86d> [Consultato il 4 Ottobre 2020].

 

Autore dell’articolo*: Irene Fratellini, studentessa di Master of Public Policy in Governo e Politiche alla LUISS Guido Carli e studentessa di Master Relations Internationales Finalité Monde alla Université Libre de Bruxelles. Dottoressa in Politics, Philisophy and Economics all’Università LUISS Guido Carli di Roma.

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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