Prospettive temporali del governo Draghi

di Marco Busetto - 31 Maggio 2021

  from Brussels, Belgium

   DOI : 10.48256/TDM2012_00200

Dalle elezioni del 1948 a oggi, in Italia si sono succeduti 64 governi. La durata media dei governi è quindi quasi di 14 mesi, per quanto ci siano state esperienze ben più lunghe come ben più brevi. Se Trilussa non avesse consigliato prudenza, potremmo prevedere una crisi per il prossimo aprile 2022. Per quanto possa sembrare una stima infondata, i primi mesi del 2022 saranno un momento fondamentale per l’attuale legislatura.

Avventurarsi nelle previsioni a lungo termine in politica è pericoloso quanto inutile. I fattori in campo sono molti e l’attuale fase storica presenta una serie di incognite superiore alla media. Ragionare sui possibili futuri resta però un esercizio utile per interpretare le decisioni politiche dei prossimi mesi in un contesto coerente e di lungo periodo.

L’esperienza del governo Draghi è peculiare, in quanto basata su una tensione tra un insieme limitato di obiettivi con una maggioranza molto larga ed eterogenea. Il governo nasce su impulso del Presidente della Repubblica che, costretto dagli eventi, rivolge un appello a tutte le forze politiche. Il nome scelto da Mattarella rappresenta la garanzia stessa della stabilità del governo, pur nell’equilibrio di un governo semi-politico. Con l’allentamento del senso di emergenza stanno però riaffiorando le profonde divergenze tra i partiti di maggioranza. Le prossime necessarie riforme su giustizia, semplificazioni e concorrenza non faranno che inasprire le tensioni.

Sondaggi e gruppi parlamentari

Le crisi di governo non sono mai eventi imprevedibili o incomprensibili. La fine anticipata di un governo risponde agli interessi di una qualche parte politica. Uno degli aspetti che possono dare un’indicazione in questo senso è la rappresentanza parlamentare. Il peso di un partito politico è definito in gran parte dalla propria quota parlamentare. Se esiste il rischio, come nel caso attuale, di uno scioglimento anticipato della legislatura, i partiti prezzano la stabilità governativa sulla base della prospettiva di guadagno di seggi. Ovvero, valutano se, sulla base dei sondaggi esistenti, nel nuovo Parlamento avranno un peso maggiore o minore che in quello attuale. Semplificando quindi, un partito con una quota parlamentare maggiore della propria quota nei sondaggi avrà un interesse alla stabilità. E vale ovviamente il contrario.

Con questo impreciso strumento di valutazione, si può quindi dire che il Movimento 5 Stelle dovrebbe essere molto restio a causare una crisi di governo. I gruppi pentastellati si compongono oggi di 75 senatori e 163 deputati, circa il 24% dei parlamentari. I sondaggi assegnano al M5S circa un 17% delle preferenze, cosa che fa temere una forte riduzione del peso parlamentare. Allo stesso modo, anche Forza Italia e Italia Viva godono di una rappresentanza parlamentare ben sovradimensionata rispetto ai sondaggi. Sul versante opposto, i partiti che vedono prospettive di guadagno in caso di nuove elezioni. Ovvio qui il caso di Fratelli d’Italia, che annumera appena il 6% dei parlamentari ma è proiettata intorno al 20% dei sondaggi. Stesso discorso sebbene meno marcato per il Partito Democratico, che andrebbe a recuperare i seggi dei fuoriusciti di Italia Viva. Per la Lega di Salvini, infine, non ci sarebbero grosse differenze.

Dinamiche di coalizione

Per quanto basata su numeri, questa prima valutazione non può ovviamente completare il quadro. Vi sono infatti anche sottostanti dinamiche che possono influire sul posizionamento dei partiti. All’interno del centrodestra è, per esempio, in corso uno scontro per la leadership. Fratelli d’Italia ha fatto registrare un incremento nei consensi sostenuto, passando dal 4% del gennaio 2019 all’attuale 20%. Molte di queste preferenze provengono dalla Lega, che ha invece registrato un calo dal 37% del luglio 2019 al 20% odierno. Il trend non sembra destinato a fermarsi: Salvini vede all’orizzonte il sorpasso dell’alleata. Un turno di elezioni anticipate a breve potrebbe permettere un rilancio della Lega come forza protestataria e vederla trionfare, seppur di misura, nella rincorsa alla guida della coalizione. Per la Meloni il discorso è speculare, con molti commentatori che consigliano di mantenersi all’opposizione del governo Draghi il più a lungo possibile, in modo da continuare a lucrare consensi.

Il Movimento 5 Stelle vive invece un momento di estrema difficoltà che sconsiglierebbe una corsa elettorale nel prossimo futuro. Il processo di rifondazione che Conte doveva intraprendere è rimasto bloccato da una serie di questioni legali. Lo stallo sulla modifica dello Statuto e lo scontro con Davide Casaleggio hanno impedito un rilancio del Movimento. I sondaggi assegnano ancora il 17% ai pentastellati, ma una parte delle preferenze sembra più legata alla figura di Giuseppe Conte che al M5S. La soluzione dei rapporti tra il partito e l’Associazione Rousseau non è in vista. Il Partito Democratico vive con fibrillazione le difficoltà di quel M5S che aveva a lungo considerato come naturale alleato. L’arrivo del nuovo segretario Letta pare aver cambiato in parte l’atteggiamento verso i pentastellati. Per il PD, comunque, la fine della legislatura permetterebbe di mettere mano alle liste elettorali, costruendo gruppi parlamentari più aderenti al nuovo corso politico post-scissione.

La riduzione del numero dei parlamentari

A prescindere dalle dinamiche partitiche, va presa in considerazione anche la futura composizione del Parlamento. La riforma costituzionale approvata dal referendum dello scorso settembre ha ridotto i parlamentari a 400 deputati e 200 senatori. Risulta naturale quindi una certa ritrosia degli attuali parlamentari a far terminare anticipatamente la legislatura. Ma la riforma ha anche reso necessarie alcune modifiche complementari. In primis, vanno modificati i regolamenti delle due camere, garantendo la funzionalità delle due istituzioni ma anche i diritti delle minoranze parlamentari.

Allo stesso modo anche la legge elettorale dovrebbe essere modificata per evitare la formazione di maggioranze troppo sovrarappresentate. L’accordo tra i partiti per una legge elettorale di tipo proporzionale sembrava raggiunto e il progetto di legge era già in discussione. L’iter è stato però bloccato dalla crisi di governo ed è anche rispuntato un certo sostegno per un sistema maggioritario. Pare improbabile comunque che l’attuale Rosatellum rimanga in vigore anche per le prossime elezioni, ma una crisi repentina potrebbe non lasciare tempo per le modifiche.

I tempi della crisi

Aspetto fondamentale per le crisi di governo è la tempistica. C’è da sottolineare fin da subito che la fine del governo Draghi porterebbe molto probabilmente allo scioglimento anticipato delle camere. Le parole di Mattarella hanno messo ben in evidenza come già la fine del secondo governo Conte avrebbe dovuto portare a nuove elezioni. Solo l’emergenza pandemica e la necessità di assicurarsi i fondi europei hanno tamponato l’incapacità dei partiti di convergere su un nuovo nome per Palazzo Chigi.

Da qui alla scadenza naturale della legislatura, nel marzo 2023, sono due le finestre che si potrebbero prestare a una crisi. La prima possibilità è quella di elezioni in ottobre di quest’anno, in concomitanza con le amministrative rinviate in primavera. Per arrivare a un tale risultato la crisi di governo andrebbe aperta a luglio e le camere sciolte entro la fine del mese, pochi giorni prima dell’inizio del semestre bianco. In Italia, tuttavia, non si sono mai svolte elezioni politiche in autunno, per evitare di interferire con l’approvazione della legge di bilancio. La sospensione dei vincoli europei per il 2022, l’ottenimento dei fondi del PNRR e i tanti interventi economici già approvati durante l’anno potrebbero tuttavia rendere meno topica la scadenza del bilancio. Le probabilità di una tale previsione paiono comunque basse.

L’elezione del Presidente della Repubblica

A prestarsi a maggiori elucubrazioni e a occupare già le pagine dei retroscena è invece l’elezione del Presidente della Repubblica. Il mandato di Mattarella si concluderà infatti il 3 febbraio 2023 e la votazione del suo successore apre diverse prospettive. Innanzitutto il centrodestra può puntare a influenzare l’esito delle votazioni, sfruttando le divisioni all’interno del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle.

Lo scenario che più solletica l’immaginario è però l’elezione dello stesso Draghi, tanto che Salvini ha già fatto il suo nome. Una proposta del genere non potrebbe che ottenere un sostegno bipartisan, anche perché rappresenterebbe un interlocutore forte e affidabile per l’Unione Europea. Allo stesso tempo, però, l’elezione dell’attuale premier rappresenterebbe il più classico promoveatur ut amoveatur, aprendo inoltre un’inedita crisi istituzionale. In assenza di un vicepremier, la carica di Presidente del Consiglio dovrebbe essere ereditata dal più anziano tra i ministri, ovvero Renato Brunetta, che dovrebbe quindi guidare un governo dimissionario fino alle elezioni. Non esistendo precedenti di sorta, però, la questione resta dubbia.

Lo scenario di un cambio di governo prima della scadenza naturale della legislatura non è però visto di buon occhio dalle cancellerie europee. Sebbene Draghi sia riuscito ad approvare in tempo il Recovery Plan italiano, è sulla realizzazione effettiva di investimenti e riforme che si gioca la credibilità del Paese. I fondi europei vanno spesi entro il 2023, mentre i progetti devono essere completati entro il 2026. La permanenza di Draghi a Palazzo Chigi rassicurerebbe gli alleati continentali. E per non lasciare scoperti gli ultimi anni del Piano, c’è già chi invoca non solo la continuazione dell’attuale esecutivo fino al 2023, ma anche la successiva candidatura di Draghi per tornare al governo.

Conclusione

La maggioranza del governo Draghi, dopo i primi mesi di tregua, ha ricominciato subito a dividersi. Lo spirito di collaborazione sulla lotta alla pandemia sta svanendo con il miglioramento degli indicatori sanitari. Ugualmente, approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i partiti stanno riscoprendo le divergenze sui molti aspetti delle riforme previste. Un ritardo nell’adozione delle riforme potrebbe inficiare l’erogazione dei fondi europei, ma sulla giustizia, per esempio, le posizioni tra centrodestra e centrosinistra non sembrano al momento conciliabili. Le frizioni della maggioranza rilanciano la prospettiva della fine del governo.

L’incognita maggiore restano le intenzioni di Draghi. Come si comporterebbe nel caso in cui un partito annunciasse l’uscita dal governo? Rimetterebbe il proprio mandato o sarebbe disposto a guidare una maggioranza evidentemente più schierata? Nei prossimi mesi molte dinamiche si chiariranno, ma con le elezioni amministrative in vista è difficile prospettare una distensione dei rapporti nella maggioranza.

 

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Autore dell’articolo* : Marco Busetto, Dr. in Relazioni Internazionali all’Università Cattolica, Milano, Italia. Fondatore di Buvette, la newsletter sul Parlamento italiano.

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