E l’Europa che fa?

di Antonio Bompani - 30 Novembre 2020

  Milano, Italia

   DOI : 10.48256/TDM2012_00155

Introduzione

Come ha risposto l’Unione Europea alla crisi generalizzata, economica e sociale, derivante dal diffondersi della pandemia? Quali misure sta portando avanti per garantire ai Paesi europei una ripresa sostenuta? Come ha lavorato e sta continuando a lavorare, in sostanza, per i singoli Stati?

 

I primi provvedimenti sostanziali

La prima concreta misura di supporto dell’UE è stata quella di sospendere, tramite una scelta della Commissione, il Patto di Stabilità e Crescita, permettendo ad ogni Paese di indebitarsi quanto necessario per far fronte all’emergenza. Poi (di fatto, come diretta conseguenza) è arrivato il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), il programma di acquisto titoli della Banca Centrale Europea, che durerà almeno fino a giugno 2021, praticamente già raddoppiato in questi mesi di pandemia. 

In seguito è stato presentato un pacchetto contenente tre principali “pilastri”: è stata attivata la linea di credito speciale del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), un accesso senza condizioni al Fondo Salva Stati per finanziare le spese sanitarie. In soldoni, finanziare il debito tramite il meccanismo è stato (o sarebbe stato, per Paesi come l’Italia, che non ne hanno fatto uso) più conveniente rispetto a farlo attraverso i propri buoni del Tesoro. La linea di credito ha raccolto circa 240 miliardi di euro, dove ogni Stato poteva (e può) prendere a prestito fino al 2% del proprio PIL. L’unica condizione riguarda appunto quella di utilizzare tali fondi per coprire i costi, diretti o indiretti, riguardanti gestione sanitaria e prevenzione del virus. Al Mes sono stati affiancati i prestiti del fondo Sure e della Bei, la Banca Europea per gli Investimenti. 

Il Sure funge da sorta di “cassa integrazione” europea, pensata per preservare i posti di lavoro durante i lockdown e per mitigare i rischi di disoccupazione in fase di ripresa. La ratio è quella di permettere alle aziende di ridurre il numero di ore lavorate senza licenziare i lavoratori o tagliargli gli stipendi. La Bei, invece, ha istituito un fondo di garanzia di 25 miliardi (sotto forma di contributi degli Stati membri), che ha utilizzato per indebitarsi fino a 200 miliardi, proponendo prestiti a condizioni vantaggiose per le PMI europee.

Fonte: Europa.eu

 

Le misure più imponenti – Il Next Generation EU

Sin dai primi mesi di pandemia, come detto, l’UE si è mossa in prima linea nella tutela dei singoli membri. Il 23 aprile 2020, infatti, i leader europei hanno deciso di cominciare a lavorare alla creazione di un fondo per la ripresa volto ad attenuare gli effetti della crisi. Hanno così incaricato la Commissione europea di elaborare una proposta che potesse chiarire anche il cruciale nesso tra fondo e bilancio a lungo termine dell’UE. La proposta, un piano per la ripresa dell’Europa, è stata successivamente presentata dalla Commissione il 27 maggio 2020.

In luglio, i Capi di Stato e di Governo hanno infine raggiunto un accordo nella definizione di un piano per la ripresa da 750 miliardi di euro, strumento poi ribattezzato Next Generation EU, inteso appunto ad aiutare l’UE nell’affrontare le spaventose difficoltà causate dal Coronavirus. Tale pacchetto per la ripresa sta seguendo attualmente il suo iter legislativo, al fine di essere pronto per il 2021.

Parallelamente al pacchetto per la ripresa, i leader europei hanno concordato un bilancio a lungo termine dell’UE per il periodo 2021-2027 pari a 1074,3 miliardi. Questo sosterrà, tra gli altri, gli investimenti relativi alla transizione digitale e al sostentamento nel passaggio ad una più marcata green economy. Insieme ai 540 miliardi di fondi già disponibili per le tre reti di sicurezza (lavoratori, imprese e Stati membri), il programma globale per la ripresa dell’UE ammonta a 2364,3 miliardi di euro.

Fonte: Consiglio dell’Unione Europea

 

Lo sforzo più grande della storia dell’integrazione europea

Il bilancio a lungo termine dell’UE, unito all’iniziativa NextGenerationEU, costituirà il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato dall’UE. Esso potenzierà inoltre i meccanismi di flessibilità volti a garantire la possibilità di fare fronte a esigenze impreviste, adeguato quindi non solo alle realtà attuali, ma anche sulla base delle incertezze future. 

Il 10 novembre, in sede di Consiglio, il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno raggiunto un accordo su prossimo bilancio e NextGenerationEU, che prevede misure e policies specifiche nel quadro del periodo 2021-2027, per un totale di 15 miliardi di euro di finanziamenti.

Oltre il 50% dell’importo sosterrà la modernizzazione tramite: 

Il 30% dei fondi europei verrà invece riservato alla lotta ai cambiamenti climatici, la più alta percentuale di sempre per un bilancio dell’UE.

Il QFP (Quadro Finanziario Pluriennale) sarà finanziato utilizzando le risorse proprie dell’Unione; per il NextGeneration, l’organizzazione assumerà prestiti sui mercati finanziari a costi più favorevoli rispetto a quelli di molti Stati membri, ridistribuendo successivamente gli importi. L’ultimo scoglio da superare consiste nella difficoltà  – come spesso accade – di mettere d’accordo le singole volontà nazionali: il Consiglio dovrà adottare la decisione alle risorse proprie e poi i Parlamenti dei vari Paesi dovranno ratificarla. Quello che è da comprendere è che ci troviamo di fronte all’espansione di bilancio più ampia della storia, e all’inizio di una nuova stagione di politica fiscale per gli organi UE, destinata ad impattare in maniera poderosa su tutto il Continente.

Fonte: Eur-lex

 

Capitolo Salute Pubblica

Sul piano della salute pubblica, a maggio la Commissione europea ha presentato il nuovo programma rafforzato “UE per la salute”, chiamato EU4Health, inerente sempre al periodo 2021-2027. La proposta prevede quindi un rafforzamento della capacità dell’UE di integrare e sostenere le azioni degli Stati membri nel quadro della policy in materia di salute pubblica; il bilancio del nuovo programma dovrebbe essere circa 25 volte maggiore dell’attuale (pari a circa 450 milioni di euro per il periodo 2014-2020). EU4Health è concepito per apportare un contributo significativo alla ripresa post COVID-19, concentrandosi sul rafforzamento della resistenza dei sistemi sanitari e sulla promozione dell’innovazione nel settore. Il nuovo programma dovrebbe inoltre colmare le lacune evidenziate in questo anno ed incentivare pianificazione e capacità dell’UE di rispondere efficacemente alle eventuali future gravi minacce per la salute di carattere transnazionale. 

Gli accordi sul programma EU4Health sono stati raggiunti dal Consiglio in ottobre: Il mandato costituirà in tal modo la base per i negoziati con il Parlamento europeo.

L’UE sta inoltre coordinando uno sforzo congiunto volto a garantire la produzione di un quantitativo sufficiente di vaccini in Europa, mediante accordi preliminari di acquisto con i produttori. Finora ha firmato tre accordi (con le società biofarmaceutiche AstraZeneca e Sanofi-GSK e per il vaccino Pfizer/BioNTech) e sono in corso trattative per siglarne altri. Insieme agli Stati membri e all’Organizzazione mondiale della sanità, l’Unione sta orchestrando lo sforzo globale finalizzato all’accesso universale alle cure.

 

Capisaldi di primaria importanza: Flessibilità del quadro di bilancio europeo e della disciplina per gli aiuti di Stato

Nell’ambito di tutte le misure prese, e compatibilmente con esse, la Commissione ha fin da subito proposto al Consiglio di sfruttare appieno la flessibilità prevista dal quadro di bilancio. Al fine di attuare le misure volte ad attenuare i negativi effetti socioeconomici, e ritenendo che la pandemia potesse essere qualificata come “evento inconsueto al di fuori del controllo del governo”, la Commissione ha aperto alla possibilità di prevedere spese eccezionali. Ha inoltre raccomandato di adeguare gli sforzi richiesti ai Paesi membri in caso di calo delle attività sempre più marcato. L’istituzione “esecutiva” dell’Unione ha anche suggerito al Consiglio di attivare la clausola generale di salvaguardia per poter prevedere un sostegno più ampio della politica di bilancio. Questa clausola — in cooperazione con il Consiglio — sospende l’aggiustamento di bilancio raccomandato in caso di grave recessione economica nella zona euro o nell’UE nel suo complesso. 

Per quel che concerne la ragionevolezza in tema di aiuti di Stato, le norme dell’UE in materia consentono agli Stati di agire in modo rapido per sostenere cittadini e imprese (soprattutto le PMI, in particolare affanno): i Paesi possono decidere sulle misure, ad esempio integrazioni salariali, sospensione dei pagamenti delle imposte sulle società e sul valore aggiunto, contributi sociali, oltre alla possibilità di concedere direttamente un sostegno finanziario ai consumatori. 

Gli Stati hanno anche la possibilità di far fronte in modo diretto alla carenza di liquidità delle imprese e alla necessità di aiuti al salvataggio urgenti. L’impatto dell’epidemia è stato di natura e portata tale da consentire il ricorso all’articolo 107, paragrafo 3, lettera b) del TFUE, superando le valutazioni della Commissione sulla necessità dell’impatto positivo dell’aiuto ai fini del conseguimento di un obiettivo di interesse comune che superi gli effetti negativi su scambi e concorrenza.

 

Un altro male a braccetto del virus: la disinformazione

Nel contesto della mai taciuta e addirittura crescente attività di disinformazione legata alle illazioni su natura e circolazione del Coronavirus, le istituzioni dell’UE si sono adoperate anche per sensibilizzare in merito ai pericoli portati da essa, promuovendo in primis l’utilizzo di fonti autorevoli. L’Unione ha incoraggiato le piattaforme online a contribuire alla lotta contro le fake news, spingendole nel rimuovere i contenuti illegali e falsi della cattiva informazione. Nella sostanza ciò si è tradotto, per fare un esempio rilevante, nella sospensione di più di 3,4 milioni di account di Twitter sospetti.

Il 10 giugno 2020 la Commissione europea e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno pubblicato una comunicazione congiunta intitolata “Contrastare la disinformazione sul Covid-19 – Guardare ai fatti” al fine di proporre ulteriori azioni concrete.

Tra di esse figurano: intensificare il sostegno dell’UE ai fact checkers; rafforzare le capacità di comunicazione strategica dell’Unione; potenziare la cooperazione con i partner internazionali, garantendo nel contempo libertà di espressione e pluralismo.

 

Le difficoltà strutturali nell’implementazione delle scelte 

Lunedì 16 novembre il meccanismo dell’unanimità, per l’ennesima volta, ha mostrato i limiti dell’architettura decisionale dell’Unione. Le problematiche del metodo intergovernativo sono infatti emerse in tutta la loro evidente spinosità: nella riunione del Consiglio dell’Unione Europea, Ungheria e Polonia hanno posto il veto su uno dei pilastri del nuovo bilancio pluriennale, valido fra 2021 e 2027, chiedendo di modificare il meccanismo che vincola l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto.

A causa del veto non è stato possibile ratificare l’accordo sull’intero bilancio, che sarà nuovamente discusso il 9 e 10 dicembre. Diversi funzionari europei sono convinti che Ungheria e Polonia potrebbero cedere, magari davanti alla prospettiva di ottenere più soldi. L’economia ungherese sta in piedi soprattutto grazie a tali fondi, avendo ottenuto dal bilancio pluriennale 2014-2020 addirittura 30 miliardi di euro, cifra enorme per un paese che genera un PIL annuale che si attesta sui 160 miliardi. 

I due Paesi sovranisti hanno annunciato il loro stop dopo che Consiglio e Parlamento avevano trovato un accordo – che in quelle sedi non richiede l’unanimità – sul nuovo procedimento volto a far rispettare il rule of law: superfluo affermare che chi viola i diritti fondamentali non può in alcun modo avere accesso ai fondi europei.

 Quel che sembra assurdo è che soltanto uno o due Stati (per di più, in questo caso, a guida semi-autoritaria, dove la classe politica usufruisce dei fondi per accaparrarsi il controllo sull’economia) possano bloccare processo decisionale comunitario e destino di quasi mezzo miliardo di europei. La maggioranza qualificata in sede di Consiglio Europeo appare come sempre più necessaria e doverosa, soprattutto in situazioni delicate come quella attuale: per crescere ulteriormente, l’Unione dovrà portare a casa tale risultato. Anche a costo di un’integrazione più stretta, con meno membri ma più coordinata, nella strada verso la Federazione.

 

 

                                                                                        Bibliografia:

 

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Autore dell’articolo* Antonio Bompani, dottore in Political Science and International Relations presso la Luiss Guido Carli di Roma, attualmente studente del Master in Marketing Management all’Università Bocconi, a Milano. 

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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