Un complesso problema gestionale italiano: il caso Alitalia

di Antonio Bompani - 1 Febbraio 2021

 from Milan, Italy

DOI: 10.48256/TDM2012_00168

Cenni storici di organizzazione interna 

Alitalia esemplifica bene gli atavici problemi di gestione che caratterizzano il management pubblico del Bel Paese. 

Nel corso della storia della compagnia di bandiera, dalla nascita datata 1946 fino al 2008, il controllo della società è rimasto nelle mani dello Stato (tramite l’Iri, il ministero delle Partecipazioni statali o il MEF). La partecipazione pubblica non è però sempre rimasta stabile, ma è stata gradualmente ridotta: il controllo è stato sostanzialmente esclusivo fino al 1985, anno in cui la partecipazione statale è scesa all’84,1% del capitale ordinario. Nel 1998 la partecipazione fu ulteriormente ridotta al 53%. Dopo il passaggio di consegne dall’Iri al MEF nel 2000, la partecipazione è aumentata fino al 62,4% nel 2002 per poi essere nuovamente ridotta al 49,9% nel 2005. 

Nel 2008, dopo risultati disastrosi e un prestito ponte per garantire la continuità aziendale, il governo ha varato alcuni interventi orientati a far ammettere la compagnia all’amministrazione straordinaria e individuare possibili acquirenti. Così, nel dicembre 2008 la good company (cioè il marchio e i principali asset aziendali) è stata comprata da CAI (Compagnia Aerea Italiana), una cordata di imprese molto eterogenee tra loro che ha di fatto determinato la privatizzazione dell’azienda, mentre la bad company (cioè quanto non acquisito da CAI) è rimasta in amministrazione straordinaria. 

 

Una favola a debito 

Ci si rende perciò conto di come Alitalia nella propria storia abbia ricevuto un forte sostegno economico dallo Stato, da cui, in più occasioni, è addirittura direttamente dipeso il mantenimento in vita della società. 

Tra il 1974 e il 2016 la compagnia ha infatti accumulato perdite per 9 miliardi, mentre sempre dal 1974 a praticamente oggi lo Stato ha speso per Alitalia ben 10,6 miliardi: di questi 10,6 miliardi, quasi la metà sono stati spesi negli ultimi dieci anni, cioè dopo la privatizzazione del 2008. 

Ciò evidenzia bene come il rapporto tra la società e la macchina statale non si sia affatto interrotto dopo la privatizzazione. Le poche annate in cui la compagnia ha registrato utili, inoltre, sono state accompagnate o anticipate da operazioni interventiste.

La drammaticità dell’affaire Alitalia risiede nello scoraggiante fatto che agli interventi pubblici nella compagnia non sembra essere mai seguito un miglioramento strutturale della capacità della stessa di competere nel mercato. Questo continuo e apparentemente interminabile serbatoio monetario assistenzialista evidenzia una storia di public management, governativo e non, molto deficitaria, contrassegnata tra l’altro dall’assenza di colori politici dominanti, nel senso che tutte le forze partitiche hanno contribuito a creare ed alimentare l’incredibile buco di bandiera.

 

Dove inizia la fine? 

Grazie ai dati resi disponibili da Mediobanca e ai dati di bilancio, si può ricostruire sia la serie storica degli oneri lordi a carico del Paese (cioè l’insieme delle somme stanziate a favore dell’azienda), sia gli oneri netti (calcolati sottraendo agli oneri lordi i proventi per il socio pubblico, come dividendi e vendite di azioni e obbligazioni). Gli oneri lordi sopportati dallo Stato tra il 1974 e il 2017 sono pari come detto a 10,6 miliardi di euro. Di questi, il 48% è dovuto ai 16 aumenti di capitale a cui ha partecipato lo stato. Il resto è dovuto a contributi per la cassa integrazione (18%), prestiti ponte (12%), spese per ripiano del passivo dell’amministrazione straordinaria del 2008 (12%), contributi per l’addestramento del personale (2%) e altre voci residuali.

Sebbene Alitalia abbia sempre avuto difficoltà a reggersi sulle proprie gambe, il vero declino della compagnia è iniziato nel corso degli anni Novanta, specie a causa dell’incapacità di fronteggiare i robusti cambiamenti dovuti all’ingresso nel mercato delle compagnie low-cost nel corto raggio. Tutti gli esperti in materia concordano sul fatto che il principale errore nella storia di Alitalia sia stata la concentrazione delle attività sul corto raggio proprio nel momento in cui il lungo raggio rimaneva l’alternativa più profittevole per le aziende con modelli di business tradizionali: piano di sviluppo sbagliato, quindi, eccessivamente rivolto al mercato domestico, più concorrenziale e aggredibile rispetto a quello intercontinentale, architettato piuttosto come un oligopolio che rende possibile ottenere margini più ampi. 

La reiterazione degli errori 

Alitalia racchiude in sé le problematiche dell’intero sistema di trasporti del Paese: zero ricerca di efficienza, niente contenimento dei costi, nessuna attenzione alla qualità dell’offerta. Basti pensare che il personale di Alitalia, già negli anni ’70, fosse all’epoca il più costoso di tutte le compagnie aeree mondiali. Un ritardo culturale, dunque, che in quanto tale fa della classe politica uno dei principali responsabili.

Dagli anni ‘90 sono passati più governi, anche molto differenti tra loro. Nel 1998 Romano Prodi, allora Presidente del Consiglio, tenta un accordo con Air-France e KLM (cercando il supporto di un partner che sarebbe potuto essere decisivo), che si avvicina nel 1999 ma che salta per le proteste dei lavoratori. Ci riprova nel 2006, ma di nuovo non va in porto, stavolta per l’opposizione di Silvio Berlusconi che invoca una cordata di “capitani coraggiosi” per mantenere l’italianità dell’azienda.

In ogni caso, nessun esecutivo è davvero riuscito a riformare Alitalia al fine di renderla competitiva e sostenibile, conservando piuttosto la medesima situazione, procedendo per finanziamento in finanziamento. Ciò è avvenuto, tra l’altro, alimentando di fatto il circuito degli aiuti di Stato, perpetuati per fiancheggiare la compagnia di bandiera, in modo avverso rispetto alla lettera dei trattati europei. 

 

Storia recente, storia difficile

Nel 2017 si è tenuto un referendum dei lavoratori dell’azienda, cui hanno partecipato anche i non iscritti al sindacato, che ha portato con il 67% dei voti alla bocciatura di un importante accordo messo a punto tra Alitalia e sindacati che avrebbe risanato i conti e preparato la compagnia alla cessione a Lufthansa. Il rapporto tra politica, sindacati e dipendenti di Alitalia è sempre stato alla base di molti degli errori commessi dalla compagnia aerea e dalla classe politica italiana negli ultimi decenni, errori che chiaramente sono ricaduti sul contribuente italiano. 

Quello del 2017 è stato uno dei più gravi ed evidenti, poiché la società si trovava davanti a un piano industriale doloroso, ma che prevedeva al contempo circa 2 miliardi di soldi privati per rilanciare la realtà aziendale. I dipendenti, convinti che la politica sarebbe intervenuta in loro sostegno con i soldi dei cittadini, hanno deciso di andare verso il commissariamento, votando no al referendum sul piano industriale. 

Analizzando poi i portati “strutturali”, a livello macro, attualmente non si vede nessun motivo per cui uno Stato debba partecipare nel capitale di una compagnia di linea: nei principali Paesi internazionalmente rilevanti, infatti, ciò non avviene. Un documento dell’ICAO (l’organizzazione internazionale dell’aviazione civile delle Nazioni Unite) mostra che il settore pubblico partecipa solo in alcune delle cosiddette “compagnie di bandiera”. Lo Stato non ha nessun vantaggio comparato nella gestione di una compagnia aerea e, sempre alla luce di quello che accade negli altri Paesi, tale gestione non sembra giustificata da “fallimenti del mercato” (cioè dalla incapacità del mercato di produrre beni e servizi necessari alla collettività).

 

Un’illusoria programmazione?

Giungendo all’oggi, il piano industriale di Ita (Italia Trasporto Aereo, la nuova Alitalia) per il quinquennio 2021-2025 è pronto e partirà a breve. Si inizierà ad aprile 2021 con 52 aerei, per arrivare a 110 nel 2025. La crescita dovrà essere graduale ma rapida: 86 velivoli nel 2022, 103 nel 2023. Stesso discorso anche per i ricavi: si parte dai 920 milioni del 2021 per arrivare all’obiettivo di 3,4 miliardi alla fine del quinquennio: dovrebbero essere quadruplicati, il che fa già comprendere la ventata di ottimismo programmatico del report.

Secondo la International Air Transport Association (Iata) nel 2021 la perdita per il settore dovrebbe assestarsi tra i 30 e i 40 miliardi di dollari, dopo i 180 persi nel 2020. Ma ancora nel primo trimestre dell’anno le maggiori compagnie aeree stimano di volare con una capacità di circa un terzo. E il mercato italiano non sembra fare eccezione: nel 2020 il numero di passeggeri si ridurrà dai 161 milioni del 2019 a meno di 50 milioni. Così il piano di crescita della nuova Alitalia, che parte con l’investimento di 3 miliardi previsto dal decreto rilancio dello scorso maggio, somiglia tanto a una scommessa, che dipenderà anche dall’imprevedibilità del nuovo mercato aereo.

Ma non sarà facile ritagliarsi delle quote di mercato, considerando che le grandi compagnie in un modo o nell’altro continuano a investire per non perdere terreno, nonostante tutto. L’esempio più evidente è quello di Ryanair, che proprio a inizio mese ha confermato un ordine di 135 velivoli a Boeing. Dopotutto, è la dura legge del mercato, bellezza. Ma è anche la scarsa serietà di gestione, la perseveranza nella cattiva organizzazione, il mezzuccio elettorale. Insomma, un aggregato più vasto di orrori, che si paga e pagherà, fino alla fine. 

Un caro saluto a tutti i contribuenti. 

 

Bibliografia

Giuricin, A. (2013). Alitalia sull’orlo della bancarotta: gli errori di compagnia e politica. Il Fatto Quotidiano. Disponibile su: https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/10/alitalia-sullorlo-della-bancarotta-errori-della-compagnia-e-quelli-della-politica/739952/

Ronzoni, D. (2019). Il destino di Alitalia: come non dovrebbe evolvere un’azienda pubblica. Linkiesta. Disponibile su: https://www.linkiesta.it/2019/11/alitalia-delta-aerei-azienda-pubblica-cap-gestione/

Cottarelli, C. Galli, G. (2019). Due anni tra i conti pubblici. I lavori dell’Osservatorio CPI dal 2017 al 2019. ed. 1, Milano: Feltrinelli, p. 291-300. Disponibile su: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-DUE%20ANNI%20TRA%20I%20CONTI%20PUBBLICI_OCPI.pdf

Berberi, L. (2020). Nuova Alitalia: aerei, rotte, ricavi, personale. I dubbi degli esperti sul piano di rilancio. Il Corriere della Sera. Disponibile su: https://www.corriere.it/economia/aziende/20_dicembre_26/nuova-alitalia-aerei-rotte-ricavi-personale-dubbi-esperti-piano-rilancio-3045a662-46c6-11eb-a373-69b14a125587.shtml

Cappelli, A. (2020). Obiettivo 2025: Il nuovo piano industriale di Alitalia è così ambizioso da sembrare irrealizzabile. Linkiesta. Disponibile su: https://www.linkiesta.it/2020/12/alitalia-piano-industriale-ita-voli-aerei-giuricin/?fbclid=IwAR0fnYGbAepSoriSCZky7s_e53-9qZ4-f6e3eG6LjgmTbPW3YiGCqzPcvWo

 

Istituto Bruno Leoni, (2020). Alitalia, il ruolo dei sindacati e della politica. Disponibile su: http://www.brunoleonimedia.it/public/Focus/IBL_Focus_340_Giuricin.pdf

 

Berberi, L. (2021). Dal Pil alla geografia, ecco i 10 ostacoli che bloccano il decollo di Alitalia. Il Corriere della Sera. Disponibile su: https://www.corriere.it/economia/aziende/cards/dal-pil-geografia-ecco-10-ostacoli-che-bloccano-decollo-alitalia/paese-meno-ricco.shtml

 

Autore dell’articolo*: Antonio Bompaniricercatore di politica interna ed economica. Studente del Master in Marketing Management presso l’Università Bocconi, Milano (Italia) e Dr. in Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli, Roma (Italia).

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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