Lavoratrici e madri all’epoca del COVID-19: prospettive e contributi

di Young Think Tanker - 1 Aprile 2021

    from Rome, Italy

DOI10.48256/TDM2012_00184 

Introduzione 

Il gender gap durante la pandemia da COVID-19 è un fenomeno cresciuto esponenzialmente. In particolare, le madri stanno tuttora sperimentando le conseguenze di una riorganizzazione del timing di lavoro e allo stesso tempo di cura della famiglia, accentuatesi durante la fase di lockdown (Manzo, Minello; 2020). Diverse sono le prospettive ed i contributi scientifici a cui attingere, ma quali sono i fattori pregiudizievoli, gli eventi di vita e le percezioni personali che vedono le donne sempre meno presenti nel mercato del lavoro globale?  

Women in Workplace

Secondo lo studio comprensivo dello stato delle donne lavoratrici in America  (Thomas, Cooper, Cardazone et al.; 2020), considerando coppie eterosessuali sposate e con figli, emerge che durante la pandemia da COVID-19 più del 70% dei padri pensa di rispettare una divisione equa nello svolgimento di lavori domestici con la propria partner, mentre solo il 44% delle madri riferisce la stessa cosa.

Durante l’anno appena trascorso, le madri lavoratrici hanno avuto una probabilità tre volte maggiore rispetto ai loro coniugi di essere responsabili dei lavori domestici e della cura dei bambini (riferibile a coppie genitoriali eterosessuali; entrambi i partner lavorano a tempo pieno o sono liberi professionisti): le donne hanno infatti una probabilità 1,5 maggiore rispetto ai coniugi  di dedicare l’equivalente di 20 ore settimanali o quasi la metà di un lavoro a tempo pieno alla cura dell’infanzia e ai lavori domestici.

Bisogna però considerare che per 1 madre su 5 che non vive con il partner/ coniuge la situazione è più complessa; le madri single, infatti, oltre ad occuparsi totalmente sia dei bambini che delle faccende domestiche, ammettono che l’insicurezza finanziaria è una delle preoccupazioni più importanti, soprattutto da un anno a questa parte.

Dalla stessa ricerca emerge inoltre che madri latine e afroamericane hanno più probabilità di essere l’unico capofamiglia entro il proprio nucleo familiare o di avere il partner che lavora fuori casa. Le madri latine hanno inoltre una probabilità 1,6 maggiore di prendersi totalmente cura dei propri figli e della vita domestica; le madri afroamericane hanno invece una probabilità doppia.

Pregiudizio e lavoro

Oltre a sentirsi  anche più esauste rispetto ai loro partner e a riportare difficoltà nella conciliazione della dimensione domestica con quella lavorativa, le madri devono ancora affrontare un pregiudizio persistente secondo cui non possono sentirsi realmente realizzate contemporaneamente nella dimensione lavorativa e in quella familiare; inoltre esse sarebbero meno impegnate delle donne senza figli e dei padri (Conrad, Bernard e Paik; 2007).  Questo pregiudizio si rafforza anche quando le madri approfittano delle opzioni di lavoro flessibile, risultando comunque produttive come tutti gli altri impiegati (Chung, Van der Lippe; 2018).

Le madri inoltre hanno più del doppio di probabilità rispetto al partner di preoccuparsi che la propria performance lavorativa sia giudicata negativamente per via della responsabilità di caregiving; inoltre emerge che abbiano molta più probabilità di sentirsi a disagio nella condivisione delle sfide della vita lavorativa con i colleghi. Sempre secondo il report di McKinsey & Company, le madri ad oggi considerano di lasciare il lavoro o di retrocedere rispetto alla propria posizione lavorativa, citando l’assistenza e la cura dei figli come causa principale (Thomas, Cooper, Cardazone et al.; 2020). 

Un contributo italiano

Da studi condotti in passato, sappiamo infatti che nella società, anche tra le coppie con un più alto livello di istruzione, il lavoro di cura non può dirsi equamente diviso in base al genere. Le donne infatti dedicano molto più tempo ai lavori domestici rispetto agli uomini (Piedad Urdinola, Tovar; 2019). In particolare, le donne sposate passano il doppio del proprio tempo nella gestione dei figli e nelle faccende domestiche rispetto ai partner, ed il tutto è estensibile anche alle regioni del Nord Europa (Bernhardt et al., 2008).

Secondo l’ISTAT (2019), in Italia le donne contribuiscono nel lavoro e al reddito così come gli uomini e,  allo stesso modo, contribuiscono alla maggior parte del lavoro in famiglia: si tratta infatti di 2,8 ore in pù rispetto agli uomini. Questo dato aumenta fino a 4,2 ore  quando ci sono bambini in casa (Manzo, Minello; 2020). Inoltre, dalla stessa ricerca emerge che il lockdown ha esacerbato disuguaglianze di genere, provocando un riassetto delle mansioni genitoriali e acuendo disuguaglianze domestiche.

In particolare,  è stato evidenziato come in Italia le madri lavoratrici abbiano giocato un ruolo essenziale nel mantenimento del livello di efficienza sul lavoro, cercando di organizzare attività di custodia e cura dell’infanzia (anche in modo creativo) per resistere all’isolamento sociale (Manzo, Minello; 2020).

Ricerche precedenti infatti (Thébaud, Kornrich & Ruppanner; 2019), hanno evidenziato come non ci sia differenza nella percezione tra uomini e donne rispetto ai compiti domestici da svolgere, ma che con più probabilità gli uomini ignorino le responsabilità, lasciandoli svolgere dalla propria partner.

Lavorare da remoto e parenting in Italia

Come precedentemente descritto, la perdita del sostegno all’infanzia tramite scuola e asilo nido può aumentare il carico di lavoro domestico non retribuito delle donne, determinando un ulteriore aggravio della loro vita lavorativa, così come la sua interruzione. Infatti, è più probabile che le donne lascino il loro lavoro o ne riducano l’orario per via dei vincoli di cura e assistenza infantile, con conseguente incremento del 20-50% del divario di genere (Collins et al., 2020).

In passato un filone di ricerca ha ritenuto che lavorare da remoto determinasse livelli ridotti di conflitto famiglia-lavoro (Gajendran, Harrison; 2007); una ricerca etnografica condotta da Manzo e Minello (2020), che ha tenuto conto di 20 interviste online di madri lavoratrici con figli (età compresa tra 0 e 5 anni) residenti nel nord Italia, ha evidenziato come tutte le partecipanti abbiano ammesso una riorganizzazione delle loro attività quotidiane, compresa la cura dei bambini.

Tutto questo succedeva anche se i padri lavoravano da remoto o avevano sospeso l’attività di lavoro. Le partecipanti ammettevano inoltre frustrazione e scoraggiamento, evidenziando che si prendevano cura dei loro figli a scapito del loro orario di lavoro tramite diverse strategie: la riorganizzazione degli spazi domestici, la negoziazione con i propri figli, il tempo aggiuntivo davanti agli schermi dato ai figli, considerando inoltre momenti ben organizzati dedicati all’allattamento per potersi ritagliare il tempo per lavorare.

Allo stesso modo hanno riferito di lavorare più spesso quando i figli dormivano. Sostanzialmente, anche se mostra limiti intrinseci traducibili in effetti avversi a lungo termine sul lavoro femminile, ha prevalso il modello dell’ “uomo capofamiglia”, poiché erano veramente poche le coppie che hanno tentato di sostenersi a vicenda  e che si dividevano equamente la cura dei figli, tra le necessità lavorative e le scadenze (Blaskò et al.; 2020). 

Burnout

Bisogna tenere conto che le donne rappresentano il 39% dell’occupazione globale ma anche il 54% delle perdite dei posti di lavoro a causa della pandemia (Madgavkar et al., 2020).

Nelle ricerche precedenti,  emerge che le lacune nell’occupazione femminile ostacolano l’avanzamento di carriera oltre a ridurre i guadagni, e che tassi più alti di disoccupazione femminile durante la pandemia possono avere un impatto a lungo termine sull’uguaglianza di genere. Il passaggio al lavoro in remoto durante il 2020 ha dissolto i confini tra lavoro e vita privata/familiare, accrescendo la commistione dei ruoli, un maggiore conflitto lavoro-famiglia, interruzioni dell’attività lavorativa (Milliken, Kneeland, Flynn; 2020). 

Secondo il report McKinsey & Company, si stima che le donne che ricoprono una posizione senior (vice presidenti, vice presidenti senior, c-suite executives) siano più propense rispetto agli uomini di pari livello a sentirsi sotto pressione e a lavorare di più, come se dovessero essere sempre pronte e produttive: esse hanno inoltre una probabilità 1,5 maggiore rispetto agli uomini di pari posizione di pensare  di abbandonare o cambiare il lavoro causa COVID-19 , citando come motivo principale il burnout e le sensazioni ad esso associate (Thomas, Cooper, Cardazone et al.; 2020), come si nota in figura 1, avallando così fenomeni di rilevanza sociale quale il gender gap.  

Figura 1. «Donne con posizioni senior sperimentano maggiormente burnout rispetto agli uomini di pari posizione »(Thomas, Cooper, Cardazone et al., p. 24, 2020)

Leadership

La possibilità di perdere dal mercato del lavoro così tante donne che ricoprono posizioni senior è controproducente e allarmante, poiché le conseguenze finanziarie a lungo termine potrebbero essere significative.

Un ricerca precedente (McKinsey & Company, 19 Maggio 2020) mostra che quando le donne sono ben rappresentate ai vertici aziendali, le aziende hanno il 50% di probabilità maggiore di performare meglio rispetto alle altre. Le donne che ricoprono le suddette posizioni hanno inoltre un impatto significativo per ciò che concerne la cultura aziendale, senza contare che oltre il 50% delle stesse donne afferma di prendere una posizione pubblica rispetto a temi come l’uguaglianza di genere ed etnica sul lavoro, rispetto al 40 % degli uomini che ricoprono lo stesso livello lavorativo (Ingram, Simons; 1995); sempre secondo il report di McKinsey & Company, le donne sono più propense a fare da mentore e a sponsorizzare altre donne.

Se donne leader lasciano il mercato del lavoro potrebbero perdere con più facilità e a tutti i livelli le loro più potenti e vincenti alleate (Thomas, Cooper, Cardazone et al.,  2020).

Implicazioni

I fenomeni descritti si traducono nel fatto le donne possono affrontare conseguenze a lungo termine (figura 2), generalmente in guadagni e promozioni ridotte, come confermato da studi precedenti condotti da Bolotnyy ed Emanuel (2018), Fransen et al. (2012) e  Ibarra et al. (2010), senza considerare che esse sono inoltre poco presenti nelle posizioni di leadership aziendale (Acker, 2006; Cook and Glass, 2014; Glass and Cook, 2016).

 

Figura 2. «COVID-19: implicazioni per l’uguaglianza di genere al lavoro» (Milliken, Kneeland, Flynn; p. 1770, 2020)

L’esperienza del lavoro da casa assieme alle esperienze di conflitto tra famiglia e lavoro può comportare un decremento del benessere, della soddisfazione di vita nel breve termine, del lavoro, così come pure a valutazioni di performance più basse, bassi livelli di soddisfazione di carriera e basse posizioni gerarchiche ricoperte nel lungo termine (Hoobler et al; 2010).

Le donne inoltre non sono ben integrate all’interno dei network, mostrando dunque uno svantaggio in termini di accesso alle informazioni e raggiungimento di promozioni (Brass, 1985), senza dimenticare che l’accesso ad informazioni critiche potrebbe essere influenzato dalla tendenza manageriale del centralizzare l’autorità in risposta alla situazione di crisi, comportamento che viene identificato come “effetto della rigidità della minaccia” (Staw et al., 1981). Ciò si traduce nella presenza di un numero esiguo di persone che sarà coinvolto nel processo di decision- making e che le persone al di sotto dei vertici aziendali, o che non sono legati strettamente ad esso, probabilmente verranno lasciate indietro (Milliken, Kneeland, Flynn; 2020). 

Prospettive sociali e lavorative

Come espresso da Milliken, Kneeland e Flynn (2020), oltre alla necessità di adottare politiche sociali che abbiano riscontro nella collettività, si dovrebbe lavorare sul potenziamento e sulla fruibilità di misure, quali ad esempio  il congedo parentale retribuito, che permetterebbe una diminuzione importante degli aggravi lavorativi e familiari per le donne. Inoltre, come suggerito dal report di McKinsey & Company (Thomas, Cooper, Cardazone et al.,  2020), per sostenere e coinvolgere sempre più all’interno della vita lavorativa le donne, le quali fronteggiano e fronteggeranno sfide maggiori alla luce della pandemia, le aziende dovrebbero seguire delle procedure per ridurre la pressione da loro sperimentata:

  1. Ridefinendo e promuovendo la flessibilità, cioè trovando modi per ristabilire i confini tra vita privata e vita lavorativa (migliorare la comunicazione riguardo l’orario di lavoro e la disponibilità all’interno del team, prevedere delle politiche che regolamentino lo scambio di mail al di fuori dell’orario di lavoro, fissare orari di meeting standard), utilizzando una comunicazione diretta, aperta ed empatica.
  2. Rendendo il lavoro più sostenibile: manager e leader dovrebbero considerare produttività e aspettative di performance ed eventualmente ricalibrarli, puntando sulla flessibilità, riconsiderando gli obiettivi ed estendendo scadenze o restringendo gli ambiti progettuali d’interesse. Bisognerebbe inoltre dare ai propri impiegati tempo libero extra.
  3. Revisionando le prestazioni: i criteri di rendimento stabiliti prima della pandemia potrebbero non essere più appropriati. Perciò, riallineare questi ultimi a quello che i dipendenti possono fare ragionevolmente può prevenire ansia, stress e burnout (Sijbom, Lang,  Anseel; 2019)
  4. Riducendo i pregiudizi di genere; leader e manager dovrebbero potenziare la consapevolezza dei dipendenti rispetto a questi bias e assicurarsi che venga rispettata l’equità di genere.
  5. Adeguando programmi e politiche per supportare meglio i dipendenti, consapevolizzandoli rispetto alle opzioni che hanno e calcolando quanto questi benefici siano sufficienti a sostenere effettivamente i dipendenti (Thomas, Cooper, Cardazone et al.,  2020).

Conclusioni

Per quanto illustrato precedentemente, unitamente a buone pratiche di monitoraggio aziendale, alla lungimiranza, al coinvolgimento diretto di manager e leader e al coinvolgimento di figure professionali specifiche, le donne potrebbero conciliare con più facilità vita familiare e lavorativa; potrebbero infatti incrementare la propria e altrui consapevolezza in merito alla parità di genere, potenziando il loro benessere e la loro soddisfazione lavorativa, per poter rompere finalmente un “soffitto di cristallo” il cui peso è ormai intollerabile.

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Autore dell’articolo*: Chiara Spadafora, Dottoressa in Psicologia all’Università LUMSA di Roma e psicologa in formazione cognitivo comportamentale.

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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