Le elezioni UK potrebbero davvero essere quelle del “cambiamento”… e non solo per i vincitori

di Manfredi Pozzoli - 4 Luglio 2024

  Dorset, United Kingdom

 

 

Domani mattina, i Britannici si sveglieranno con un nuovo parlamento a guida Laburista. Dopo quattordici anni di governo del Partito Conservatore, un leader della sinistra britannica, Keir Starmer, rientrerà al numero 10 di Downing Street trovandosi ad avere quella che probabilmente sarà una delle più ampie maggioranze parlamentari nella storia moderna di Londra. Secondo gli ultimi sondaggi, i Laburisti hanno un indice di preferenze di circa venti punti percentuali superiore a quello dei Tories, una cifra quasi senza precedenti nel sistema (di fatto) bipartitico UK.

 Il sistema elettorale britannico è dissimile da quello di molti vicini continentali. I seggi sono assegnati con un singolo turno di voto in collegi uninominali, dove il candidato che ottiene la maggioranza relativa vince, senza bisogno di un secondo turno (come invece avviene in sistemi come quello Francese). Secondo i pronostici, il partito di Starmer potrebbe vincere più di 450 seggi (su 650), con un collasso dei Conservatori che probabilmente non riusciranno a sfondare la soglia dei 100 seggi. Il restante centinaio di seggi verrà diviso tra gli indipendentisti scozzesi dello Scottish National Party (SNP) – anch’essi destinati a un’emorragia di voti verso i Laburisti -, i Liberal Democratici (LibDem), i Verdi, e il Reform Party, una formazione guidata dal “volto” della Brexit Nigel Farage, che offre una visione di destra diversa da quella dei Tories.

Che i Laburisti, oggi, siano destinati a vincere, è certo. Ciò che rende le elezioni interessanti, invece, è un’incognita più grande: è possibile che il voto porti alla fine di un partito e, insieme ad esso, alla fine di un intero equilibrio politico?

 

Come si è arrivati a questo punto?

La storia delle elezioni 2024 è, in sintesi, la storia del collasso del Partito Conservatore.

Alle elezioni del 2019, i Conservatori, guidati allora da Boris Johnson, registrarono una delle loro più ampie vittorie, ottenendo 365 seggi e la maggioranza assoluta in parlamento. Alle urne, i Tories riuscirono a sfondare il “Red Wall” il muro di collegi elettorali al confine tra la Scozia e l’Inghilterra, da sempre sede della (ormai sempre più ridotta) industria pesante inglese, e quindi di un bacino di voti tendenzialmente di sinistra. La vittoria di Johnson, forse il primo conservatore a portare in UK uno stile di comunicazione politica simile a quello populista di Trump, era stata aiutata anche da una campagna elettorale disastrosa e piena di scandali portata avanti dal leader Laburista Jeremy Corbyn, rappresentante dell’ala della sinistra radicale del partito.

Cinque anni dopo, i ruoli sono invertiti. Anzi, i Tories sono, secondo tutte le previsioni, destinati a ricevere la loro più grande sconfitta dal dopoguerra, eclissando anche quella ricevuta per mano dei “Nuovi Laburisti” di Tony Blair nel 1997. Come è possibile?

Come gli altri governi Europei, anche quello britannico si è trovato a dover risolvere le immense crisi susseguitesi dal 2019 ad oggi, ovvero il COVID-19, la guerra in Ucraina, e le importanti difficoltà economiche, particolarmente in settori come quello energetico, che le hanno seguite. Tuttavia, la sconfitta dei Tories è in gran parte autoinflitta. La Brexit, non voluta dal governo Cameron, ma fortemente desiderata dai suoi successori, che si sono trovati a gestirla, può essere considerata un disastro. A quasi un decennio dal referendum che inaspettatamente sancì l’uscita di Londra dall’UE, il governo britannico non è riuscito ad ottenere la Brexit “a tutti i costi” desiderata da Johnson, né a implementare l’idea della “Global Britain” che doveva sostituire i legami con Bruselles con nuove relazioni oltreoceano con i vecchi partner del Commonwealth e con nuove potenze globali. Al contrario, l’economia britannica continua a soffrire, e il predominio della City di Londra è divenuto sempre più evidente. Se Londra continua ad essere una metropoli cosmopolita e tra i centri economici che più attraggono investimenti a livello mondiale, il resto del paese arranca. Il Regno Unito ha investito di meno su infrastrutture all’avanguardia, come linee ferroviarie ad alta velocità, delle sue controparti UE. Inoltre, una carenza di attività edile (i tassi annuali di costruzione di strutture abitative sono inferiori in termini assoluti a numerosi stati UE, e sono diminuiti del 16% nel 2023) e la continua concentrazione dell’attività economica a Londra e altri grandi centri urbani hanno stimolato una crisi abitativa particolarmente sentita dai britannici più giovani. Inoltre, la cost of living crisis, sentita comunque in tutta Europa, è particolarmente severa in UK, con tassi di inflazione costantemente superiori a quelli UE e, soprattutto, aumenti considerevoli nei prezzi dei beni di prima necessità. Secondo il Financial Times, l’UK è, ad oggi, il paese sviluppato con il più alto tasso di senzatetto.

I governi conservatori – quattro a seguire quello di Cameron, collassato dopo il referendum sulla Brexit – hanno forse ancora di più peggiorato la situazione del partito rendendosi protagonisti di una serie di scandali di proporzioni quasi inaudite nella storia recente del Regno Unito. Succeduto a Theresa May (anch’essa costretta alle dimissioni a causa Brexit, stavolta per non essere riuscita ad ottenere il promesso deal con Bruselles), il governo Johnson, dopo aver approvato un regime di lockdown particolarmente stringenti per combattere la pandemia, è imploso dopo che numerosi membri (incluso Johnson stesso) sono stati sorpresi ad aver partecipato a ripetute feste – il cosiddetto “Partygate”.

A seguire, il governo di Liz Truss, rappresentante dell’ala liberista dei Tories, è stato affossato quasi immediatamente dagli effetti disastrosi delle sue proposte in materia di riforme fiscali. L’annuncio del “mini-budget” di Truss, due settimane dopo la morte dell’amata regina Elisabetta II, ha causato un crollo quasi istantaneo della Sterlina, un’impennata nei tassi di interesse e nei borrowing costs sui titoli di stato. Dopo una serie di inversioni di marcia politicamente disastrose, Truss ha presentato le sue dimissioni al nuovo monarca Carlo III, rendendo il suo governo il più corto, e forse il meno popolare, della storia del Regno Unito.

La vittoria Laburista è divenuta una certezza quasi sicuramente fin dal collasso del governo Truss. Diversamente dal radicale Corbyn, il nuovo segretario Starmer si è fin da subito posizionato come moderato e “responsabile”, una posizione che gli ha dato fin da subito un vantaggio elettorale a confronto del populista Johnson e dell’estremismo fiscale di Truss. Rishi Sunak, ex banchiere ed esponente del moderatismo di destra, non è riuscito ad invertire la rotta. Anzi, il suo governo, già di partenza non amato dall’elettorato Tory che gli aveva preferito Truss alle ultime primarie, ha continuato a cadere in passi falsi sempre più imbarazzanti.

Oltre a uno scandalo riguardante la moglie del primo ministro, scoperta a utilizzare l’antiquato sistema “non-dom” per evitare di pagare imposte sul suo patrimonio multimilionario in UK nonostante la sua residenza nel paese, membri del Partito Conservatore sono stati coinvolti in uno scandalo “honeytrap”, ovvero a condividere informazioni sensibili su app di incontri. Più recentemente, insider della cerchia di Sunak sono stati sorpresi a scommettere sulla data delle elezioni prima del suo annuncio. Anche se meno severo da un punto di vista legale, Sunak è riuscito anche ad alienare gran parte dell’elettorato di destra con ripetute gaffe, ad esempio lasciando le celebrazioni per l’80esimo anniversario dello sbarco in Normandia in anticipo.

Nelle ultime settimane, la campagna elettorale del Partito Conservatore, resasi probabilmente conto dell’impossibilità di sperare in una vittoria, ha iniziato a incoraggiare gli elettori a votare per il partito con lo scopo di evitare una vittoria Laburista così ampia da non lasciare spazio ad alcuna opposizione. In realtà, i Tories non temono solo la vittoria dei Laburisti, di cui sono ormai certi, ma anche la crescita di altri partiti minori, determinati a cogliere l’opportunità di rimpiazzarli come forza di opposizione.

 

I partiti minori

La vulnerabilità dei conservatori non è solo elettorale. Al contrario, è strutturale. Se da una parte il sistema elettorale britannico ha continuato a favorire lo strapotere di due soli partiti, quello Laburista e quello Conservatore, l’elettorato si sente sempre meno a proprio agio rispetto alla divisione centrodestra-centrosinistra ereditata dal ventesimo secolo. Numerosi partiti di minoranza vedono nelle elezioni una possibilità di rompere questo equilibrio.

I Liberal Democratici, che rappresentano il centro socialmente progressista ma fiscalmente liberale, vedono nel crollo dei Tories una possibilità di diventare il secondo partito a livello nazionale. Per questo, la loro campagna è stata soprattutto mirata a attrarre l’elettorato indeciso o insoddisfatto in collegi a guida conservatrice, ma dove i partiti di centrosinistra hanno un seguito importante. Nel 2019, i LibDem hanno ottenuto 8 seggi. Le proiezioni attuali li vedono ottenere dai quaranta fino ai settanta seggi, la maggior parte ereditati dagli uscenti conservatori. Per i LibDem, l’obbiettivo è quello di affermarsi come forza di opposizione istituzionale e mainstream. A lungo termine, la posta in gioco è ancora più alta: l’abolizione del sistema elettorale attuale e il passaggio a un sistema proporzionale.

A sinistra, l’unica forza politica alternativa ai Laburisti sono i Verdi. Nonostante il nome suggerisca un focus principalmente su questioni ambientali, il Green Party si è da anni imposto come una formazione politica della sinistra sociale, ed una soprattutto attenta alle minoranze etnico-religiose presenti sul territorio. La campagna verde del 2024 è stata essenzialmente mirata a strappare a Labour seggi in circoscrizioni particolarmente multiculturali o giovani, e in centri universitari, e si è perciò anche incentrata, oltre che su questioni di politica domestica, sul conflitto Israelo-Palestinese. Per i Verdi, che al momento hanno un solo rappresentante in parlamento, ogni collegio strappato ai Laburisti rappresenta un trionfo. Per questo, è possibile che il partito continui a spingere in una direzione sempre più populista, affermandosi come forza di estrema sinistra.

 

L’incognita “Reform UK”: Nigel Farage può distruggere, e ricostruire, la destra?

È tuttavia a destra che emerge lo scenario più interessante e di possibile impatto. Dopo l’esperienza del Brexit Party, Nigel Farage si è posizionato alla guida di Reform UK. Un partito di destra conservatrice, ma con posizioni fiscalmente nazionaliste e aspirazioni autarchiche dissimili dal liberismo dei Tories, il partito è rimasto per anni in una specie di limbo elettorale anche a causa dell’ex-leader Richard Tice, una figura insufficientemente carismatica.

Tra il 2022 e il 2024, le fortune di Reform si sono completamente capovolte. Con il crollo dei conservatori, e soprattutto dell’ala liberista e Thatcheriana di Truss e Sunak, Reform si è trovato rapidamente nella posizione, impensabile pochi anni prima, di offrire una vera alternativa ai Conservatori. L’arrivo di Farage alla guida del partito, un mese prima del voto, è stato annunciato con un perfetto tempismo.

Dopo la Brexit, Farage è rimasto una presenza costante nella politica del Regno Unito, senza mai tuttavia entrare nell’orbita dei Tories. Da un punto di vista stilistico, si può categorizzare come politico “populista”, alla pari di Johnson o di Trump – a cui si diceva pronto a essere di aiuto nella campagna elettorale USA, prima dell’annuncio del suo arrivo a Reform. Tuttavia, l’indipendenza dalla formazione più importante della destra britannica ha quasi sicuramente posto Farage nella posizione di poter racimolare una porzione non indifferente di voto conservatore, senza quasi dover fare campagna elettorale, ma semplicemente in virtù del suo curriculum politico – marcato dal trionfo della Brexit – e dal suo non essere un conservatore, che gli garantisce il privilegio di dichiararsi di fatto l’unica forza “anti-establishment” di destra.

Secondo i sondaggi, l’adesione di Farage ha fatto guadagnare almeno quindici punti percentuali a Reform. Il sistema elettorale britannico, tuttavia, rende difficile che essi si traducano in più di, al massimo, quindici o venti seggi. Alcune proiezioni indicano che Reform ne otterrà al massimo tre. Da un punto di vista politico, però, questo potrebbe non essere particolarmente rilevante. Se, infatti, Reform dovesse raggiungere una percentuale di voti simile a quella dei Tories, il partito di Farage di fatto otterrebbe la distruzione dello status quo della destra del Regno Unito, con implicazioni che potrebbero farsi sentire a pieno nel 2029, data delle prossime elezioni.

In primis, Reform, anche avendo ottenuto solo qualche seggio, potrebbe danneggiare irreparabilmente il consensus di destra del Regno Unito. Già dalle dimissioni di Johnson, numerosi rappresentanti dell’ala più “radicale” dei conservatori hanno dato segno di essere pronti a rompere con gli schemi del loro partito. A Maggio 2023, figure di spicco del governo Johnson si sono radunate al Museo di Storia Naturale di Londra per una convention “Nazional Conservatrice”, con tematiche molto più simili a quelle della destra sociale di partiti del continente che a quella dei Tories. Anche se rimasta ancora ancorata al partito, è possibile che a seguito di un disastro elettorale, l’ala più di destra dei Conservatori si stacchi e vada verso l’ascendente Farage. In questo caso, nonostante gli scandali che ne hanno influenzato l’ascesa, Reform potrebbe diventare la maggiore formazione di destra britannica, spezzando uno status quo di quasi un secolo.

In secondo luogo, non essendo i Tories non più in grado di dichiararsi leader della destra, e essendo evidente un gap importante tra il voto popolare e i risultati parlamentari, i risultati elettorali di Reform UK potrebbero dare uno slancio decisivo alla campagna per cambiare la legge elettorale in una a base proporzionale. Reform potrebbe diventare la guida di una coalizione di partiti minori, inclusi i Verdi e i LibDem, capace di mettere pressione a Starmer “dal basso”, rendendo più probabile l’attuazione di una riforma. Una legge elettorale proporzionale, di conseguenza, renderebbe impossibile il bipartitismo, e spingerebbe la politica UK in territori inesplorati.

È addirittura possibile, seppur non probabile, che il Partito Conservatore non sopravviva a cambiamenti simili, e che si disgreghi, forse per dividersi tra una parte di destra nazionalista a guida Reform, e una più simile al centrismo liberale dei LibDem.

 

La sinistra potrebbe davvero cambiare il Regno Unito

Se Farage può distruggere e riformare la destra. A sinistra, con la vittoria elettorale ormai certa, le sfide e opportunità future appaiono più chiare.

Guardando ai dati, è ovvio come i Laburisti si siano trovati a partecipare nella campagna elettorale più “facile” della storia del partito. A sinistra, la minaccia dei Verdi – o di candidati indipendenti come Corbyn stesso, fuoriuscito dal partito per correre in proprio – è ancora troppo piccola per essere davvero preoccupante. Al centro e a destra, l’implosione dei Conservatori e la crescita di LibDem e di Reform rende l’opposizione troppo frammentata. Starmer si troverà quasi certamente nell’invidiabile (o forse, deplorabile) posizione di poter completamente  implementare il suo manifesto moderato, centrato su riforme di aspetti antiquati del sistema politico, economico e fiscale (come la necessaria abolizione del sistema “Non-Dom” e la riforma della Camera dei Lord), di misure mirate a ridurre la crisi del costo della vita e quella immobiliare, e al rafforzamento della rete di assistenzialismo sociale e sanitario del paese. Il programma Labour è di fatto uno dei meno ideologici e più pragmatici visti negli ultimi anni. Anche nei rapporti con l’UE, pur non sdoganando la possibilità di un secondo referendum che possa cancellare la Brexit, Starmer resta pragmatico e mira ad un’integrazione “soft” e amichevole. Il partito, oggi, sembra irriconoscibile rispetto all’estremismo di Corbyn di soli cinque anni fa. Questo potrebbe essere il vero punto forte del governo Starmer.

Infatti, Starmer si troverà a remare controcorrente in un’Europa sempre più instabile e sempre più aperta ai populismi di estrema destra e estrema sinistra. È notevole che il trionfo del centrosinistra moderato britannico coincida con le elezioni dell’Assemblea Nazionale Francese, dove il liberalismo di Macron verrà quasi certamente divorato dal nazionalismo di Le Pen e dal radicalismo di sinistra di Melenchon. Ma il caos sul continente non potrà che fare del bene al Regno Unito, che potrebbe, sotto Starmer, ritornare ad essere un porto sicuro per gli osservatori extra-Europei. Un maggiore livello di fiducia in Londra potrebbe complementare in modo molto positivo le riforme moderate proposte da Starmer. Ad esempio, se solitamente le previsioni monetarie vedono nei cambi di governo una causa di fluttuazioni nel cambio di valuta, numerosi istituti sembrano al contrario essere d’accordo che un governo Laburista possa rafforzare la Sterlina. Gli attuali dati lo confermano, anche prima del voto. Questo scenario è realistico, soprattutto se si pensa all’impatto che l’instabilità di Parigi potrebbe avere sull’Euro, e, guardando a Novembre, alla possibilità di un secondo governo Trump negli Stati Uniti, forse la più grande incognita a della seconda metà del 2024.

Tuttavia, Starmer, proprio perché si troverà ad avere una maggioranza incontrastabile, potrebbe anche affossare il Partito Laburista, qualora le speranze di un cambiamento (change – lo slogan della campagna elettorale Labour) dovessero essere deluse. I problemi strutturali del Regno Unito sono stati certamente esacerbati da 14 anni di governo conservatore, e dai disastri della Brexit e delle crisi degli ultimi anni, ma risalgono a tempo prima. In cinque anni di amministrazione, c’è il rischio che, invece di voltare pagina, il partito diventi preda di pressioni interne disgreganti, forse su questioni ideologicamente cariche come le relazioni con l’UE o la politica estera nei confronti di Ucraina e Israele. In tal caso, al posto di cambiare, il Partito Laburista diverrebbe preda di sé stesso, con implicazioni imprevedibili per il futuro del regno.

 

 

 

 

Autore dell’articolo*: Manfredi Pozzoli, BA in History & International Relations presso King’s College London, Master in Diplomacy & International Governance a Sciences Po e London School of Economics.

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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