Elezioni USA 2020: le Debolezze della Campagna di Joe Biden a un Mese dal Voto

di Manfredi Pozzoli - 30 Settembre 2020

  from London, United Kingdom

   DOI: 10.48256/TDM2012_00134

Le elezioni statunitensi del prossimo novembre si terranno in circostanze uniche. Negli ultimi mesi, infatti, gli Stati Uniti sono stati colpiti da una serie di crisi di grandi proporzioni. Da una parte, la pandemia Covid-19 ha causato la morte di più di 200,000 cittadini, oltre a importanti danni socioeconomici. Dall’altra, le proteste nate in opposizione ai diffusi casi di police brutality hanno paralizzato numerosi centri urbani, e sono state teatro di violenti scontri. 

A causa di questi sviluppi, la gara elettorale tra Joe Biden e Donald Trump si è incentrata su temi piuttosto insoliti, di forte carica ideologica. Questioni come le race relations, il ruolo delle forze dell’ordine, e la rivalutazione dell’identità storica americana hanno rimpiazzato i più familiari dibattiti su economia e foreign policy. Per molti commentatori, questa svolta ideologica ha reso le elezioni di novembre estremamente significative. Tra tutti, Bernie Sanders – già avversario di Biden durante le primarie – ha dichiarato che esse saranno “le più importanti nella storia moderna” degli USA.

In realtà, concentrandosi solo sui sondaggi, l’esito delle elezioni, che ormai distano poco più di un mese, potrebbe sembrare scontato. Biden, infatti, mantiene ancora un significativo vantaggio sul suo avversario Repubblicano. Il candidato Dem sembra infatti essere avanti sia in termini di preferenze assolute, sia nei singoli “stati chiave”. Tuttavia, come già accaduto nel caso delle elezioni del 2016, queste previsioni potrebbero rivelarsi ingannevoli. In particolare, è evidente come la candidatura di Joe Biden soffra a causa di alcune pesanti vulnerabilità, che, fino ad ora, non sono state corrette. Esse sono dovute non solo agli errori commessi dalla campagna dell’ex-vicepresidente, ma anche alla relativa debolezza delle sue posizioni, soprattutto tra alcune fasce demografiche chiave. Il 3 novembre, questi punti deboli potrebbero fare la differenza, aumentando, potenzialmente, le possibilità di vittoria di Trump.

 

Le Vittorie Iniziali di Joe Biden

La nomination di Biden come candidato per le elezioni di novembre è stata un trionfo per l’ala moderata dei Dem. Avendo sconfitto il “socialista” Sanders alle primarie, l’ex-braccio destro di Obama si è presentato come un candidato responsabile, conciliatorio e chiaramente anti-populista. Questa linea politica si era fin dall’inizio rivelata vincente nei sondaggi, anche grazie all’impatto negativo che la crisi Covid-19 aveva avuto sull’approval rating di Trump. L’8 aprile – giorno in cui Sanders ha concluso la sua campagna – la media sondaggi vedeva Biden avanti di circa 5 punti sul Presidente. Nei mesi seguenti, questo vantaggio è cresciuto maggiormente, con alcuni istituti che, a luglio, riportavano Biden a un massimo di +11%. Questi numeri erano anche sostanzialmente migliori di quelli ottenuti da Hillary Clinton nei mesi precedenti alle scorse elezioni. Nell’estate 2016, infatti, le medie sondaggi indicavano che Clinton aveva raggiunto un vantaggio massimo su Trump di circa 7 punti.

Guardando i singoli stati, il vantaggio accumulato da Biden nei mesi estivi appare ancora più decisivo. Già a giugno, il candidato Democratico era avanti a Trump nella gran parte degli swing states. Questo termine indica gli stati che – non essendo stabilmente schierati a favore di uno dei due principali partiti – giocano un ruolo cruciale in tutte le elezioni. Per esempio, nel caso di Pennsylvania e Florida (che possiedono, rispettivamente, 20 e 29 grandi elettori), i sondaggi davano l’ex-vicepresidente in vantaggio di 5-7 punti. In altri stati, come il Michigan e il Wisconsin, questo vantaggio sarebbe arrivato a +10. Infine, alcuni studi indicavano come Biden stesse guadagnando terreno anche in Texas, la storica roccaforte del GOP (Partito Repubblicano), che possiede 38 voti dell’electoral college. Anche da questo punto di vista, i numeri di Biden sono migliori di quelli ottenuti da Hillary Clinton nel 2016.

 

Il Declino dei Mesi Estivi

Questo iniziale scatto in avanti sembra tuttavia essersi attenuato durante i mesi estivi, che hanno visto un declino del candidato Democratico nei sondaggi. Per esempio, uno studio di CNN pubblicato il 16 agosto ha fissato il gap tra Biden e Trump a 4 punti percentuali. Questo rappresenterebbe un calo di quasi 10 punti rispetto a giugno. Inoltre, lo stesso sondaggio riporta come Trump superi Biden in alcune fasce demografiche chiave. In particolare, il Presidente avrebbe il supporto del 66% dell’elettorato bianco e della maggioranza degli elettori over 50. Inoltre, Trump sarebbe il candidato preferito dal 52% degli americani non laureati.

Anche nei singoli swing states, il vantaggio di Biden sembra essere diminuito sostanzialmente, riducendosi, in alcuni casi, a pochissimi punti. Secondo la media sondaggi di FiveThirtyEight, i Democrats sarebbero avanti di soli 2 punti in Florida e di 4 in Pennsylvania. Un sorpasso Repubblicano in questi due battleground – che, nel 2016, hanno giocato un ruolo chiave per la vittoria di Trump – sarebbe disastroso per Biden. Inoltre, nonostante rimangano ancora saldamente in testa, i Democratici sembrano aver perso terreno anche in stati come il Michigan e la North Carolina.

L’impressione data da questi dati è una di grande incertezza. Nonostante Biden sia ancora avanti, questa graduale discesa sembra aver messo in discussione tutte le precedenti proiezioni per il voto di novembre. Per esempio, a inizio settembre The Guardian ha commentato i nuovi sviluppi affermando che l’esito delle elezioni è ora “più incerto che mai”. Inoltre, il quotidiano britannico ha indicato come l’atmosfera “caotica” in cui si trovano gli Stati Uniti potrebbe aver reso gli ultimi studi non del tutto attendibili. In generale, i trend degli ultimi mesi sembrano quindi indicare come la campagna elettorale di Biden sia molto più debole e vulnerabile del previsto. 

 

Il Problema Più Grande: la Mancanza di Entusiasmo

In primo luogo, il difetto più evidente di cui soffre il candidato Dem è la mancanza di interesse per la sua campagna. Infatti, nonostante abbia sconfitto alle primarie avversari molto carismatici, come Sanders, Biden non è stato capace di suscitare l’entusiasmo dell’elettorato Democratico. Al contrario, è diventato il volto dello slogan “vote blue, no matter who” – che incoraggia gli elettori Dem a votare per qualsiasi candidato anti-Trump. Questa mancanza di carisma è particolarmente evidente tra gli elettori più giovani, che vedono in Biden un esponente dell’establishment del partito.

Il già citato studio di CNN conferma queste percezioni. Infatti, esso riporta come il 58% degli intervistati decisi a votare per Biden considerino il loro un voto “contro Trump”. Invece, esaminando gli elettori decisi a votare per il candidato Repubblicano, il quadro appare completamente diverso. In questo caso, solo il 29% vede il proprio voto come un gesto “anti-Biden”, mentre il 67% lo considera soprattutto un voto “per Trump”. Le implicazioni di questi dati sono pesanti. Essi infatti indicano come, a novembre, il Presidente uscente potrà contare su una base elettorale fortemente motivata e compatta. Al contrario, nonostante sia ancora in vantaggio, Biden potrebbe avere molte difficoltà a convincere i suoi supporter a recarsi alle urne.

Secondo alcuni osservatori, questa carenza potrebbe pesantemente ridurre le chance di vittoria dei Democratici. Michael Moore – regista e attivista vicino a posizioni progressiste – si è detto sicuro che essa garantirà a Trump un secondo term alla Casa Bianca. In un post su Facebook del 28 agosto, Moore ha dichiarato che “l’entusiasmo per Trump è alle stelle” mentre quello per Biden sembra mancare del tutto. Il Presidente ha condiviso questa osservazione: un suo tweet, pubblicato il 30 agosto, legge semplicemente “Michael knows!!!.

 

La Scelta del Vicepresidente: un’Opportunità Mancata?  

La decisione di Biden di selezionare Kamala Harris come vice potrebbe rappresentare un’altra potenziale debolezza. La selezione del vicepresidente è infatti un elemento cruciale per ogni candidato. Nel caso di Biden, essa era stata attesa per mesi, già a partire dall’iniziale vittoria alle primarie. Questo interesse era dovuto soprattutto alle speculazioni sulle identità dei potenziali candidati. Infatti, durante l’estate, Biden aveva fatto capire che avrebbe selezionato, come running-mate, una figura al di fuori dell’establishment Democratico.

In effetti, la lista iniziale di possibili nomi includeva molte figure estranee all’amministrazione Obama. Tra i favoriti vi era, in primo luogo, Stacey Abrams, prima leader afroamericana del partito Democratico nella Camera dei rappresentati della Georgia. Abrams, una dei Southern Democrats più popolari, è particolarmente attiva nella lotta contro le istituzioni che favoriscono il fenomeno di voter suppression. Un altro nome importante era quello di Karen Bass. Nonostante sia meno conosciuta a livello nazionale, l’ex speaker dell’Assemblea di Stato della California si è distinta per le sue posizioni particolarmente progressiste. Nel 2020, inoltre, Bass è stata una dei parlamentari Democratici più attivi per la promozione di un disegno di legge per la police reform. 

Scegliere uno di questi candidati sarebbe stata una decisione certamente rischiosa. Tuttavia, è anche possibile che una svolta più determinata verso una linea progressista potrebbe aver contribuito a rafforzare la candidatura di Biden. Sicuramente, la presenza di un outsider sarebbe stata utile per risolvere il problema della carenza di entusiasmo identificato da Moore e da altri. Infine, scegliere una figura proveniente da uno stato del sud come Abrams avrebbe forse potuto aumentare la competitività di Biden in stati tradizionalmente “rossi”.

 

Kamala Harris È la Scelta Più Ovvia… Ma Forse Non la Migliore

In confronto a questi nomi, Kamala Harris rappresenta sicuramente la scelta più prudente. Infatti, nonostante la sua campagna alle primarie sia terminata prima ancora del primo round di votazioni, la senatrice californiana ha, negli ultimi mesi, creato una forte piattaforma elettorale. Inoltre, rispetto alle altre candidate, Harris si è distinta per la sua maggiore esperienza all’interno delle istituzioni. Infatti, dopo essere stata procuratore generale della California per 6 anni, è dal 2017 la prima donna indiana-americana – e la seconda afroamericana – a servire in Senato. Infine, come riporta Politico, Harris costituisce una “safe choice”, dato che non è mai incappata in scandali o in problemi legali. Per questi motivi, la scelta di Harris come running-mate di Biden, ufficializzata l’11 agosto, non è stata sorprendente. 

Anche la figura di Harris, tuttavia, presenta dei seri problemi per la campagna Biden. In particolare, la senatrice è finita sotto attacco per alcune sue decisioni prese da procuratore generale. Tra esse, è stato particolarmente criticato il suo appoggio per un disegno legge del 2010 volto a combattere l’assenteismo scolastico nello stato della California. Esso imponeva pesanti penalità – inclusa l’incarcerazione – a quei genitori i cui figli avessero mancato più del 10% dei giorni di lezione durante l’anno scolastico. Questa legge è stata spesso criticata per aver colpito soprattutto le famiglie meno abbienti, tra le quali, statisticamente, si registrano livelli di assenteismo più alti. Recentemente, Harris ha ammesso pubblicamente di rimpiangere la sua decisione, dichiarando come non avesse mai avuto intenzione contribuire a “criminalizzare dei genitori”. Nonostante questo, nel contesto dei recenti dibattiti riguardanti gli abusi commessi dalle forze di polizia, le passate posizioni di Harris potrebbero danneggiare la campagna Biden.

 

Tra Radicali e Moderati: la Retorica Confusa di Biden

Le potenziali difficoltà legate alla scelta di Harris si allacciano, più in generale, a un’altra debolezza strutturale che affligge la piattaforma elettorale di Biden: la mancanza di una retorica coerente. A partire dalla sua nomination, Biden si è trovato di fatto incastrato tra due forze. La prima è quella dell’establishment moderato del Partito Democratico. Questa è l’ala più centrista del partito – a cui Biden è affiliato – e supportata dalla maggior parte dell’elettorato. La seconda è quella dell’ala “radicale”, che identifica come propri leader Bernie Sanders e altre figure progressiste, come Alexandria Ocasio-Cortez e Rashida Tlaib. Nonostante sia numericamente inferiore, questa corrente ha una fortissima presenza mediatica, ed è molto popolare tra le fasce demografiche più giovani. Durante la sua campagna, Biden è stato di fatto incapace di comunicare in modo efficace con entrambe queste correnti. Al contrario, i suoi messaggi si sono spesso rivelati contraddittori e confusi. 

Ad esempio, Biden non è riuscito a mantenere una linea politica coerente in riguardo alle recenti proteste legate al movimento Black Lives Matter (BLM). Fin dall’inizio, infatti, ha adottato gli slogan del movimento, e ne ha spesso lodato gli obiettivi. Allo stesso tempo, tuttavia, il candidato Dem ha rifiutato di impegnarsi ad attuarne le proposte fondamentali – come la riforma radicale delle forze di polizia. La selezione di Harris ha complicato ulteriormente la situazione: nominare un’ex-prosecutor, infatti, è sembrata a molti elettori una mossa simbolica, ostile alle richieste dei manifestanti. In generale, questa ambiguità ha lasciato Biden vulnerabile su due fronti. Da una parte, ha conferito credibilità agli attacchi di Trump, che lo condannano per il suo supporto a idee “estreme”. Dall’altra, ha contribuito a demoralizzare ulteriormente la fetta di elettorato più progressista.

 

Il Fronte dei Mass Media

Infine, Biden soffre anche di una debolezza più tecnica: la sua piattaforma ha una presenza sui mass-media molto inferiore a quella di Trump. In parte, questo è dovuto alle differenze nello stile comunicativo e retorico dei due candidati. Infatti, mentre Trump utilizza efficacemente ogni medium a sua disposizione, Biden sembra avere un approccio meno adatto alle nuove piattaforme mediatiche. 

Sui social media, il gap tra le campagne elettorali dei due candidati è particolarmente evidente. Su Facebook, ad esempio, la campagna di Trump spende in pubblicità quasi il doppio di quella di Biden. Secondo i dati della “Libreria Inserzioni” del sito, Trump avrebbe speso 2.2 milioni di dollari nel periodo 21-27 giugno, contro gli 1.5 milioni di Biden. Inoltre, la campagna Trump gode del supporto di una galassia di migliaia di “asset” social indipendenti che producono un flusso costante di contenuti. Questi includono gruppi e pagine Facebook, blog, quotidiani e notiziari online, e anche singoli influencer seguiti, in alcuni casi, da centinaia di migliaia di individui. 

Nel caso di Biden – e dei Democratici più in generale – questo network mediatico appare più ristretto. Già nel 2018, un’analisi statistica condotta da MediaMatters – una ONG di orientamento liberale – aveva dimostrato lo strapotere della destra statunitense su Facebook. Lo studio, che aveva analizzato 463 tra le pagine più popolari, aveva individuato come i canali pro-GOP ricevessero mediamente il 51% di interazioni in più rispetto a quelli pro-Dem. Ad oggi, questa dinamica sembra essere invariata. Infatti, le piattaforme di destra, come Breitbart – il notiziario online fondato da Steve Bannon – continuano a superare ampiamente le loro controparti liberali per engagement e traffico. Secondo The New York Times, la “silent majority spesso indicata da Trump come chiave per la sua rielezione, potrebbe ‘nascondersi’ proprio su queste piattaforme mediatiche.

 

Ultime Sfide e Ultimi Ostacoli

A circa un mese dalle elezioni, la campagna elettorale di Biden si trova in una situazione abbastanza precaria. Nonostante i sondaggi indichino come l’ex-vicepresidente sia ancora in vantaggio su Trump, i trend degli ultimi mesi sono significativi. In primo luogo, essi hanno mostrato chiaramente come la piattaforma elettorale Democratica sia più vulnerabile del previsto. Inoltre, hanno messo in dubbio le previsioni costruiti sui primi sondaggi di giugno. Durante il prossimo mese, con l’avvicinarsi del 3 novembre, i numeri dei due candidati cambieranno ulteriormente. 

Per Biden, la prossima “sfida” da affrontare sarà quella dei tre dibattiti presidenziali, che si terranno tra il 29 settembre e il 22 ottobre. I dibattiti potrebbero essere molto rischiosi per il candidato Democratico, anche perché, negli ultimi mesi, egli è apparso poco convincente nelle sue apparizioni in pubblico – rendendosi spesso protagonista di gaffe e affermazioni infelici. In effetti, Trump conta proprio sui dibattiti per cambiare il corso della campagna elettorale – tanto che ha addirittura proposto di aggiungerne un quarto. È perciò essenziale per Biden dimostrarsi pronto a sostenere gli attacchi del suo avversario, e, potenzialmente, a chiarificare alcune delle sue posizioni. 

Considerando il poco tempo rimasto, è chiaramente improbabile che Biden riesca a correggere le vulnerabilità legate alla sua campagna nel solo mese di ottobre. Un cambiamento di retorica improvviso, infatti, potrebbe ulteriormente confondere l’elettorato, potenzialmente facilitando gli attacchi di Trump. Al contrario, la scelta più accettabile è probabilmente quella di adottare una strategia più prudente e composta. In ogni caso, è evidente come Biden e i Democratici non possano ormai permettersi di affidarsi alle previsioni ottimistiche di inizio estate.

 

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Autore dell’articolo*: Manfredi Pozzoli, studente di BA in History & International Relations presso King’s College London.

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