Covid-19 e petrolio: la fine del settore?

di Francesco Generoso - 31 Ottobre 2020

 from Naples, Italy

   DOI : 10.48256/TDM2012_00150

La lenta morte delle Big Oil: così intitolava il Financial Times il 17 settembre scorso, dichiarando come il settore petrolifero sia ormai destinato ad una lenta, ma inevitabile, fine (Financial Times, 2020). Al contrario, alcune importanti voci come quella di Abdulaziz bin Salman, Principe e Ministro saudita dell’Energia, hanno sottolineato come il petrolio sia ancora la prima fonte energetica, e chi investirà sulla sua sconfitta ne rimarrà danneggiato (Bellomo, 2020).

Il COVID-19 è certamente stato un duro colpo per il settore, che già da tempo era in crisi a causa di una serie di fattori che hanno colpito tanto la domanda quanto l’offerta (Generoso, 2020). Infatti, chi credeva che il peggio fosse passato dopo il pessimo andamento dei primi mesi del 2020, e che una ripresa sarebbe stata possibile nei restanti, si è dovuto ricredere: pur riprendendosi dai valori di aprile e maggio – con il Brent che ha toccato quota 20 dollari al barile in più occasioni -, i prezzi non sono tornati ai livelli pre-COVID, oscillando tra i 45 e i 40 dollari a barile nel periodo compreso tra agosto e inizio ottobre (FX Empire, 2020).

 

Stime sulla domanda: più ottimistiche del previsto

 

L’andamento calante del Brent è facilmente analizzabile: si uniscono infatti il timore di una seconda ondata, con conseguente lockdown e calo della domanda, il ritorno consistente allo smartworking e il ridotto utilizzo dei mezzi di  trasporto, nonché una capacità produttiva inutilizzata e  una ridotta capacità di stoccaggio – con i siti già pieni delle scorte accumulate negli scorsi mesi – . Tuttavia, le stime sulla domanda risultano più ottimistiche di quanto si pensi: secondo l’Agenzia internazionale dell’energia – IEA -, la domanda nel 2020 dovrebbe ammontare a 91,7 miliardi di barili al giorno – meno 8,4 miliardi di barili al giorno rispetto al 2019 – (IEA, 2020); ancora più ottimistiche le previsioni della U.S. Energy Information Administration – EIA – , con una domanda che ammonta a 92,8 miliardi di barili al giorno – meno 7,2 miliardi rispetto al 2019 – e una stima per il 2021 di 97 miliardi (EIA, 2020). 

 

Le differenze tra le Oil Majors

 

Nel quadro generale, un altro aspetto da tenere conto è la sostanziale differenza di strategia tra le principali oil majors: quelle americane, rimaste ad attività tradizionali, e quelle europee, con a capo la British Petroleum – che ha affermato di voler attuare  un taglio del 40% alla sua produzione di petrolio entro il 2030 – (Nasralla, Bousso, 2020), intenzionate a ridurre il loro impegno in petrolio e gas e direzionare le proprie attività su tecnologie meno inquinanti – come l’eolico offshore (Media 2000, 2020) – .

 

La strategia di BP, come indicata dal suo Energy Outlook, parte dal presupposto che la domanda di petrolio abbia raggiunto il suo picco massimo nel 2020, e che da qui al 2050 questa crollerà fino allo zero (BP, 2020). Ad essa si è aggiunta anche Total,  che invece vede il picco intorno al 2030 (de Beaupuy, Herron, 2020). Il ritirarsi delle aziende europee nei prossimi anni causerà un vuoto nell’offerta che potrebbe portare ad uno shock sui prezzi. In altre parole ciò darà spazio alle compagnie statunitensi e alle compagnie nazionali dei paesi produttori (Merriman, 2020).

 

Private contro statali

 

Alla differenza citata precedentemente, si aggiunge un’ulteriore distinzione: quella tra le compagnie private – come BP, ENI e Total – e le compagnie con una importante impronta statale – Aramco, Gazprom ecc. – . Le prime potrebbero assistere al futuro dipinto dalle previsioni di BP e Total, in quanto i mercati finanziari sono sempre più attenti alla questione ambientale. Infatti, queste aziende potrebbero essere minacciate dalla diminuzione di investimenti e costrette dalle pressioni provenienti da media, governi e azionisti, a diventare più green e, di conseguenza, affrontare un inesorabile declino della produzione di petrolio e gas. 

 

Diversamente, le National Oil Company – NOC – potrebbero trovarsi in uno scenario decisamente più interessante per i propri affari, che vedrà la richiesta di petrolio dai NOC aumentata. La minore produzione di petrolio dalle compagnie private sposterà infatti la domanda verso i NOC e altri operatori indipendenti, rendendo la loro produzione non solo continuativa, ma anzi, migliore (Widdershoven, 2020). 

 

Nuovi contagi e nuove restrizioni: le ripercussioni sul settore

 

La lenta ripresa avvenuta nel periodo estivo potrebbe tuttavia sparire presto: i prezzi stanno infatti scendendo ai 40 dollari, e potrebbero andare anche sotto, a causa dei nuovi contagi e delle nuove restrizioni in diversi paesi europei, compresa l’Italia. L’incertezza sulla domanda di petrolio era infatti già stata preventivata, in quanto la possibilità di nuove ondate e nuove restrizioni avevano reso chiaro a tutti gli operatori che i livelli pre-pandemia difficilmente sarebbero stati raggiunti. La stessa IEA aveva previsto uno scenario del genere (Browning, 2020).

 

Il problema delle scorte

 

Oltre all’aumento dei contagi e le nuove misure restrittive, a preoccupare il settore è anche il problema delle scorte di barili, accumulatesi durante i primi mesi dell’anno durante i lockdown più stringenti e che dovranno essere consumate. Se infatti a livello globale queste ultime si stanno riducendo grazie al breve periodo di leggera ripresa (Luz, Longley, 2020), ciò che desta preoccupazioni sono le mosse dell’OPEC+  – gruppo che unisce i paesi membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, l’OPEC, e altri paesi esportatori, come la Russia – . Infatti, dal prossimo anno potrebbe aumentare la produzione dopo i tagli implementati quest’anno. Tuttavia, se l’offerta dovesse superare la domanda, i prezzi del greggio crollerebbero nuovamente (Hoffman, Blas, 2020). 

 

Le prossime mosse dell’OPEC+

 

A fine novembre ci sarà la prossima riunione dei membri OPEC+ e sarà in quel momento che il gruppo deciderà il da farsi. La strana alleanza formatasi tra sauditi e russi dopo la guerra dei prezzi avvenuta nei mesi caldi della pandemia, sta cercando di spingere gli altri produttori ad attenersi ai tagli concordati (Raval, 2020). Infatti, si prevede che il prossimo anno, data la domanda di greggio sempre più rallentata, le limitazioni alla produzione verranno mantenute; tuttavia non tutti i membri sono d’accordo, desiderosi di aumentare la produzione per sostenere le proprie economie in difficoltà (Commodities Trading, 2020).  Il rischio di un aumento della produzione ha infatti avuto ricadute sul prezzo del petrolio e sui futures dei prossimi mesi (Reuters, 2020).

 

Le elezioni negli Stati Uniti

 

Le prossime elezioni negli USA avranno un importante impatto sul settore petrolifero e, più in generale, su energia e ambiente. Il coronavirus ha infatti avuto un effetto diretto sul mercato energetico statunitense: restando al solo settore petrolifero, vi è stato un crollo nella produzione con conseguente fallimento di numerose imprese tra i 6000 produttori indipendenti di tight oil e shale oil – cosa che ha permesso alle major di acquistare posizioni nel mercato dello shale a prezzi ribassati (Rystad Energy, 2020) – , con oltre 100 mila licenziamenti e perdite di capitale per centinaia di miliardi (Clò, 2020). 

 

Il candidato democratico Joe Biden si è fatto promotore di un programma che prevede importanti cambiamenti nel settore energetico, intenzionato ad attivare una serie di politiche green che l’Amministrazione Trump ha interrotto o comunque non supportato. Tra le misure certamente più importanti vi è il divieto di esplorazioni e trivellazioni in terreni pubblici e acque pubbliche, nonché nuove protezioni per l’Arctic National Wildlife Refuge e altre zone che Trump ha cercato di aprire alle compagnie petrolifere, compreso il Golfo orientale del Messico (Rostant, 2020).

 

L’industria petrolifera è ovviamente dalla parte di Trump, che non ha nascosto le proprie simpatie per il settore, garantendo durante la sua Amministrazione una serie di politiche atte a favorire lo sviluppo delle imprese petrolifere (Grandoni, Firozi, 2020). 

 

Conclusioni

 

La congiuntura portata avanti da coronavirus, pressioni per un’energia sempre più pulita e dinamiche conflittuali interne tra i produttori, sta certamente creando grosse difficoltà all’intero settore petrolifero. È tuttavia poco saggio pensare che questo sia il canto del cigno del settore petrolifero: petrolio e gas rappresentano ancora oggi la principale fonte di energia al mondo, e lo saranno per ancora diversi anni. Il cambio di passo ci sarà, ma è improbabile che questo avvenga nei prossimi anni. 

 

Bibliografia (A-L)

 

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Autore dell’articolo*: Francesco Generoso, Studente in Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Napoli, Italia. Come sempre pubblichiamo i nostri lavori per stimolare altre riflessioni, che possano portare ad integrazioni e approfondimenti.

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Nota della redazione del Think Tank Trinità dei Monti

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